Finisce male l’avventura olimpica dell’Italbasket, è inutile girarci intorno. Possiamo star qui a raccontarci quanto questo gruppo abbia superato le aspettative, e con pienissima ragione. E quindi applaudire il quarto di finale raggiunto, la sconfitta di misura con una delle favorite all’oro; perché è inevitabile quando perdi dalla squadra che costringe alla sconfitta Durant e Lillard all’esordio.
Però un incontro difficile da affrontare, si conclude con l’amaro in bocca di un quasi raggiungimento del risultato. Per come la partita si è svolta, e soprattutto per la gestione dell’ultimo quarto, riequilibrato nel finale con una caparbietà invidiabile. Segno che la stoffa per puntare in alto e crescere c’è. E sarebbe un crimine non lavorarci su, arrendendosi nel riconoscere “impresa” una splendida avventura, che comunque si conclude anzitempo.
A parte i soliti 21 punti di Evan Fournier, la prestazione di Nando De Colo è offensivamente limitata dalla difesa azzurra, ma la point guard del Fenerbahçe smazza 7 assist accendendo al meglio Gobert in pick and roll. E non solo il centro dei Jazz si comporta come atteso (22 punti, 9 rimbalzi ed una gratuita e sbeffeggiante schiacciata nel finale), ma anche quando messo a riposo, la fisicità di un granitico Moustapha Fall garantisce continuità ai suoi. Sostenuti da un improbabile Thomas Heurtel da 10 punti (gli ultimi 3 da killer della partita), e da un Batum stellare. La vera chiave per il successo francese, che mette subito in chiaro le sue intenzioni con due giocate difensive incredibili, prima di chiudere con 15 punti, 14 rimbalzi e 3 recuperi.
Insomma, è la Francia che ha sconfitto il Team Usa all’esordio: non la più bella degli ultimi anni, forse neanche la più forte, ma assolutamente efficace per quanto sprecona a tratti. Uno degli avversari peggiori da pescare al sorteggio per l’Italia, lo sapevamo.
Successo o delusione?
Diciamolo subito, a scanso di equivoci: Danilo Gallinari non si è nascosto, nonostante gli acciacchi e la mobilità limitata. Non solo ha messo a referto 21 punti, ma è pure riuscito a catturare 10 rimbalzi, spesso costretto a fare a sportellate con Gobert da marcatore obbligato. Certo, spesso è mancato di esplosività, ed il 5 su 15 con cui ha tirato non è certamente dato statistico da applausi. Ma ha tenuto il campo per 30 minuti, sacrificandosi in entrambi i lati del campo e soprattutto non fallendo mai dalla lunetta (e realizzando un paio di tiri da cineteca).
Insomma, nella gara più importante del torneo ha svolto al meglio il ruolo per cui era stato convocato dopo il preolimpico: quello del leader di esperienza, forte di una stagione in crescita agli Hawks, estenuante e finita molto tardi.
Che i centimetri a roster ci vedessero pesantemente sfavoriti – anzi, che le differenze di stazza rappresentassero il fattore di svantaggio per i nostri – era storia ampiamente nota. Pensar di riuscire a tamponare i francesi a rimbalzo era cosa da pazzi, ed infatti per lunga parte della sfida veniamo agilmente doppiati. Il 33 a 49 finale a vantaggio dei transalpini è addirittura lusinghiero per noi, frutto di tanto impegno sotto i tabelloni, non potendo fare l’impossibile.
In questo, per sperare di portarsi a casa la sfida, le percentuali dall’arco erano decisive. Ed è abbastanza chiaro che il 21% con cui chiudiamo, rappresenta la statistica principe per capire come la sconfitta sia maturata. Non che i francesi facciano troppo meglio (32% di squadra), ma per come vanno le cose, sarebbe sufficiente centrare giusto una manciata di triple in più, sulle 33 tentate.
Riuscire a giocarci il tutto per tutto nel quarto periodo, dopo essere rientrati da uno svantaggio apparentemente tombale nel terzo quarto, dipende solo ed unicamente dall’aggressività difensiva, quindi.
Forzare 20 palle perse alla Francia – e capitalizzare, anche se non sempre quando è decisivo – è possibile grazie ai 12 recuperi di squadra favoriti dalla grinta dei vari Pajola, Tonut ed il buon Nico Mannion.
Non certo in una serata ispirata al tiro (solo 1 su 10 dal campo), ma capace di poter far comunque valere un “mestiere” acquisito che fa quasi specie definire così, calcolandone la giovane età e la limitata esperienza tra i professionisti. Già sufficiente per certificare una crescita evidente nella gestione delle transizioni, nel forzare i falli avversari, nell’organizzare i compagni selezionando bene i momenti in cui costruirsi la soluzione personale.
Se pensiamo al futuro dell’Italbasket, il suo è il primo nome che viene in mente, è inevitabile. Ma non sono soltanto gli “eroi” dell’impresa olimpica, a disegnare un futuro che si intravede brillante. O comunque carico di speranza. Pur ammettendo che la vera impresa sportiva sarebbe stata raggiungere una medaglia, anche riconoscendo tutti i meriti certificati sul campo dai ragazzi di Sacchetti.
Però bisogna essere onesti, e non svalutare un gruppo solido e determinato, trattandolo da “Cenerentola” della situazione, o forse peggio. Applaudendolo come se avesse vinto l’oro, solo perché erano anni che la Nazionale Italiana non raggiungeva traguardi simili.
Inutile usar la retorica delle grandi occasioni, il “volemose bene” ipocrita di chi ancora sostiene con apparente convinzione che “l’importante è partecipare”. Perché nello sport si compete per il risultato, la vittoria, ed il basket non è da meno. E per i valori espressi in campo, questa sconfitta ha più il sapore di un’occasione persa, dalla quale è necessario ripartire con determinazione. Non cullarsi sugli allori della sorpresa.
Per essere pronti ed avviare una nuova stagione di successi, partendo da questo gruppo che si è scrollato di dosso i vecchi senatori con il successo al preolimpico, è necessario acquisire centimetri e stazza. Lo avevamo già visto incontrando Aron Baynes con l’Australia, per certi versi decisivo in una sconfitta pesante; che poteva cambiar la storia della nostra Nazionale se fosse finita in modo diverso. Perché ci avrebbe proiettato testa di serie da vincitrice del girone.
Purtroppo si tratta di un problema annoso – simile alla mancanza di una punta di sfondamento pura nella Nazionale Italiana di calcio – ed il centrone che diviene decisivo con le regole FIBA (come un Gobert o un Baynes) non esiste all’orizzonte.
E non sono neanche le scelte operate da Sacchetti, al quale si può solo imputare il turnover tra Abass e Gallinari senza veder potenziale guadagno nel non avvicendamento, a poter finire sul banco degli imputati. Anzi, la voglia di scommettere su un ciclo nuovo del buon Meo deve esser riconosciuta, applaudita e per questo premiata, almeno secondo chi vi scrive. Perché non era scontato fare a meno comunque dei senatori che furono. Che per quanto indisponibili a volar verso Tokyo a qualificazione raggiunta, una eventuale richiesta di aiuto a loro rivolta avrebbe significato poca fiducia nel gruppo.
Ed il gruppo un po’ underdog, voglioso di stupire, è stata la chiave per un rendimento sopra le aspettative più pessimistiche. Grazie alla cementificazione favorita dal lavoro del coach, che non dovrebbe esser in discussione adesso. Quando è opportuno ripartire ancora, stavolta da una base futuribile, ma che non può sentirsi appagata da quel “usciamo a testa alta” che è l’opposto del motivazionale che serve.
Ma anzi, deve guardare avanti alle possibilità in vista, che tradotto in termini concreti significa: altre opzioni per accrescere il talento del gruppo. Occasione ghiottissima quella di inserirli adesso, con l’idea di migliorare il risultato raggiunto.
Il futuro è adesso
E ripartiamo quindi dai risultati ottenuti, coscienti che la Francia era battibile, che la semifinale olimpica ampiamente alla portata, e quindi guardando a quel che deve restare dell’ultimo roster scelto da Sacchetti.
Danilo, l’ultimo dei senatori di quella generazione che “avrebbe potuto” ma non è riuscita, ha concluso il suo ciclo con Tokyo. Almeno per come lo abbiamo inteso ad oggi: valore aggiunto e potenziale miglior giocatore italiano di tutti i tempi, per talento e militanza in NBA.
Può accettare il ruolo di chioccia, fare lo specialista per sprazzi di gara, ma non deve essere concepito più come soluzione obbligata nei finali infuocati. Non se lo merita per la carriera disputata, in un momento in cui l’età avanza, la prestanza sfiorisce e le responsabilità non possono esser sempre sostenute ed esaudite.
A prescindere dall’incoronazione forzata di Joe Ingles, Simone Fontecchio si è consacrato stella del gruppo a venire. E per quanto sia ridicolo scoprirlo dopo i 19 punti di media tenuti nel torneo, al confermarsi di tanta solidità non si torna indietro. Ed è classe 1995, il che significa un possibile futuro radioso davanti, che non guasta (Igles dixit, oltretutto). Stesso discorso per Achille Polonara, che di anni ne ha 29, e rappresenta il backup perfetto per sostituire il Gallo nello scacchiere tattico dell’Italbasket.
Di Nico Mannion come perno del gioco futuro abbiamo già parlato, e alla point guard in forza ai Golden State Warriors è naturale aggiungere come certezze gli ottimi Tonut, Spissu, Tessitori ed un Alessandro Pajola a tratti decisivo con la sua verve difensiva.
Il compito di guida nello spogliatoio e coscienza in campo, può essere tranquillamente ricoperto da un Nicolò Melli rientrante in quel di Milano dall’esperienza statunitense. Un ragazzo dotato di intelligenza cestistica ed equilibrio, capace di spostare gli equilibri con mestiere difensivo, con la freddezza sufficienti per mettere i tiri che scottano, anche da dietro l’arco.
Il suo bagaglio tecnico ed esperienziale sarà una risorsa per tutti, soprattutto per chi arriverà poi, soprattutto i due più attesi.
In questi termini, il nome di Paolo Banchero è quello che solletica maggiormente la fantasia, con la fama che lo precede ed il suo possibile essere “prima scelta assoluta nel Draft 2022”. Una previsione magari azzardata e destinata ad esser disattesa per poco, ma conta il giusto: basta vedere i suoi highlights alla High School per capire la portata del ragazzo. Uno di quelli che può seriamente elevare il movimento nazionale, a suon di notorietà e risultati consequenziali.
Per chi non lo sapesse, si tratta di un lungo di circa 208 centimetri per 113 chilogrammi, proveniente dalla Seattle area. Fisicamente più che prestante, è in grado di accoppiarsi in difesa con almeno quattro ruoli su cinque, con doti offensive spiccate anche dal mid range. Insomma, non è un caso se lo hanno cercato i principali College d’America. Una autentica caccia al prospetto che ha visto “vincere” i Blue Devils di Duke, con i quali giocherà la prossima stagione (e rappresentano il motivo per cui non ha disputato il preolimpico con la maglia azzurra).
Si, perché nonostante uno status elevato che gli permettesse anche di scommettere nell’ambitissimo Team USA, all’ottenimento del passaporto italiano Banchero ha deciso di diventare talento disponibile a tutti gli effetti per la nostra nazionale. Un po’ come Mannion, che malgrado la crescita evidente difficilmente poteva sperare di vestir mai la maglia a stelle e strisce.
Al mantenimento delle promesse, ci troviamo di fronte alla soluzione per ogni difetto del nostro gruppo, anche se non perfettamente strutturato per tappare le falle più evidenti. Questo perché – ci ripetiamo, ma ha senso sottolinearlo – di giocatori simili sembrano passarne pochi storicamente, ed il fatto che il buon Paolo ambisca ad essere italiano potendo scegliere, è una botta di fortuna non indifferente per l’Italbasket. Attorno ad uno così, si può davvero costruire qualcosa che punti in alto.
Altra suggestione similare – quantomeno nel capitolo “passaporto” – riguarda Donte DiVincenzo, fresco campione NBA con i Milwaukee Bucks, per quanto un fastidioso infortunio abbia privato i suoi del suo apporto per tutta la run playoff. E non è stata una mancanza da poco, considerando l’importanza ricoperta nello scacchiere tattico di coach Budenholzer per tutta la regular season disputata.
Anche per lui la naturalizzazione è solo questione burocratica, e si tratterebbe di un’aggiunta di alto livello. Certo, è necessario capire se la FIBA permetterà a due naturalizzati nati negli Stati Uniti di partecipare in coppia alle competizioni, e soprattutto se questa “regola” sarà mantenuta. Al momento, nei grandi tornei dovremmo deciderne uno tra lui e Banchero, e per quanto si tratti di un bel scegliere, potrebbe pesare un minimo.
Ulteriormente, tralasciando i potenziali oriundi, se guardiamo sotto canestro non può non venir in mente il nome di Alessandro Lever, che dopo quattro anni passati con gli Antelopes di Gran Canyon University mettendosi discretamente in luce, giocherà la prossima stagione a Trieste.
Centro già capace di far bene nelle nazionali giovanili, Lever è un lungo atipico capace di giocare anche lontano dal pitturato, forte di un tocco educato. Potenzialmente più power forward che altro in un ipotetico contesto NBA, potrebbe comunque coprire quelle falle tattiche sotto i tabelloni, se la crescita difensiva dimostrata dovesse proseguire.
Ed anche il giovanissimo Matteo Spagnolo – classe 2003 – potrebbe rivelarsi preziosissimo, da alternarsi in regia con Mannion. La prossima stagione giocherà a Cremona, ma in parallelo con ottime prestazioni inanellate con la Nazionale Under-16, il ragazzo è cresciuto più che bene nella cantera del Real Madrid. Non proprio gli ultimi della classe nella scoperta e formazione di talenti, anche internazionali. In nazionale maggiore ha già esordito alla tenera età di 17 anni (il terzo più giovane nella storia), ed il suo posto a roster è già ampiamente riscaldato.
Non resta altro che aspettarlo ed inserirlo, insieme agli altri, in un gruppo che deve necessariamente stupire ancora. Perché quando appari la sorpresa, e raggiungi i quarti di finale olimpici, non puoi in nessun modo cullarti sugli allori riempiendoti di pacche sulle spalle e complimenti amichevoli.
La vera salita, quella vertiginosa, inizia adesso. A maggior ragione se hai tanto talento ai box, per colorare il futuro di azzurro. Una volta tanto, proviamo a sognare e lavorare per qualcosa di più grande, senza accontentarci di poco più che la mediocrità.
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