Malgrado molti li definiscano “un vacuo esercizio di stile”, la discussione sui premi stagionali percorre più o meno tutta la regular season. Ed è inutile porsi superiori rispetto alla questione, a tutti piace provare a prevedere – o meglio, analizzare – chi possa meritarsi o meno la nomina di miglior giocatore, o quello di allenatore dell’anno. Senza contare quelle categorie meno sotto i riflettori, come il giocatore più migliorato oppure il difensore più efficace del lotto: partecipare al dibattito stimola ad osservare qualcos’altro, rispetto all’altisonante.
Tutto questo preambolo serve, semplicemente, a rivendicare la volontà della redazione di True Shooting di mettersi in gioco, simulando – secondo le medesime strutture utilizzate dalla NBA – la corsa per l’incoronazione del migliore di ogni categoria. Seguendo i criteri e le peculiarità di cui sopra ed anche qualcosa in più (vedrete poi, in altro articolo).
Insomma, tutta la redazione ha votato i propri personalissimi Top 3 in corsa per il Most Valuble Player (MVP), Defensive Player Of The Year (DPOY), Most Improved Player (MIP), Rookie Of The Year (ROY), Coach Of The Year (COTY) e Sixth Man Of The Year (6MOTY).
Votazioni tenute in rigoroso anonimato, per evitare di influenzarsi ed influenzare il risultato finale.
Ad esito conseguito, dopo aver calcolato i punteggi seguendo i criteri “reali” della NBA, abbiamo decretato i nostri vincitori che, ovviamente, devono prestarsi ad analisi, critiche, discussioni e dibattiti; altrimenti non avrebbe senso.
Qui le tabelle dei risultati finali con i punteggi ottenuti (scorri per visualizzarle tutte):
Per favorire tutto questo, quattro “fortunatissimi” selezionati dalla redazione di True Shooting hanno potuto argomentare il proprio parere, soprattutto alla luce delle classifiche finali. Un modo per indurre riflessioni, o più probabilmente cedere il fianco a critiche ancor più feroci, una volta denudato il processo di scelta.
Si tratta di Andrea Snaidero, Davide Torelli, Davide Quadrelli e Davide Possagno.
Buona lettura, e soprattutto, buon divertimento!
Most Valuable Player: vince Nikola Jokić
Andrea Snaidero: Ragazzi, poche sorprese qui. Se a metà stagione Embiid era al livello di Jokić, forse pure un po’ più avanti data l’importanza maggiore nella difesa dei Sixers, l’infortunio gli ha fatto giocare venti partite in meno del serbo ed in una stagione da settantadue gare contano parecchio.
Jokić vince perché sa fare tutto in ambito offensivo e perché, da solo, è il fulcro ed il motore di un attacco Top 5 della Lega. Il premio di MVP a Jokić è una testimonianza dell’evoluzione del Gioco: nel giro di quattro anni, il Centro è passato da essere una specie in via d’estinzione ad essere un nuovo fulcro offensivo e difensivo.
Certo, capisco le critiche di chi considera che il premio debba andare ad un giocatore più utile sui due lati del campo – Antetokounmpo… – ma, se togli il serbo a Denver, la squadra è più in difficoltà rispetto a Milwaukee senza il greco o Philadelphia senza il camerunense.
Davide Torelli: Concordo, era veramente complesso votare qualcuno che non fosse Jokić, anche per il solito discorso che lui, rispetto ad Embiid, ha giocato tutte le partite stagionali. Una considerazione che poi, a mio avviso, lascia il tempo che trova: semplicemente ha guidato Denver ad un record insperato, sia per come era iniziata la stagione sia per l’infortunio di Jamal Murray.
Poi, in situazioni del genere, tocca sempre sceglierne tre e, se i primi due posti vanno ai due centri dominatori della stagione, per il terzo mi sono stato costretto a “scartare” l’ennesimo campionato mostruoso di Giannis e fare un ballottaggio tra i due giocatori che veramente mi hanno entusiasmato di più in questa stagione: Stephen Curry e Chris Paul.
CP3 è il mio vero “MVP romantico”, per come ha condotto dal campo Phoenix in una regular season sorprendente. Tralasciando l’oggettività, è CP3 quello che tifo nella corsa al titolo: sia per narrativa, sia per render merito ad una carriera infinita, sia per la capacità di contribuire in modo decisivo sui pari ruolo anche nella metà campo difensiva.
Davide Quadrelli: Non posso che darvi ragione. La scelta di Jokić, almeno per me, era abbastanza scontata. Ha semplicemente preso tutto quello che stava facendo la scorsa stagione, a cavallo tra la fine della regular season le le WCF contro i Lakers (che ho “vissuto” sulla mia pelle), lo ha elevato ad un livello superiore e ha mantenuto questa onnipotenza cestistica per tutta la stagione.
Fino al suo infortunio, mi ero segnato anche Embiid come potenziale candidato MVP ed, anzi, in quel momento era anche il mio favorito. Poi, con questo Jokić e con le assenze dovute all’infortunio, il camerunense si è “giocato” il premio, nonostante la sua sia stata un’annata fenomenale.
Per quanto riguarda il terzo candidato, questi due sono riusciti a far sembrare “normale” la stagione di Antetokounmpo. Anche se, onestamente, il three-peat di Giannis ho sempre pensato fosse improbabile. In ogni caso, per il terzo anno di fila il premio di MVP va ad un giocatore europeo, quindi una sorta di three-peat è stato fatto.
Infine, devo ammettere che mi sono fatto prendere dalla narrativa come il mio omonimo Davide ed ho segnato come candidato ad honorem Chris Paul. So che non sarebbe stata realistica una sua vittoria, l’ho vista come una medaglia al valore, la sua aggiunta al roster di Phoenix – combinata con la guida di Williams – ha aiutato a portare una franchigia da 34W e 39L nel 2019/20 a quasi 50W e in questa NBA non è poco.
Davide Possagno: Una delle cose che più mi ha stupito è che negli scorsi anni il serbo si è reso famoso, tra le altre cose, per le sue partenze “diesel” in regular season, per poi entrare a pieno regime negli ultimi mesi della stagione; quest’anno, invece, è partito subito forte, giocando fin dalla prima partita ai livelli visti nella bolla di Orlando.
Il suo principale avversario, Joel Embiid, ha perso le speranze di soffiargli l’MVP dopo l’infortunio al ginocchio e non bisogna dimenticare che la stessa sorte è toccata a LeBron James, che però di partite ne ha saltata qualcuna in più.
Defensive Player Of The Year: vince Rudy Gobert
A.S.: Passiamo al premio di Defensive Player Of The Year. Il “problema” con il DPOY è che si tende sempre a darlo a un rim protector e, raramente, ad un difensore perimetrale. Dal 2000 ad oggi, diciassette volte ad un Centro o Ala Grande, tre volte ad un’Ala Piccola – Artest e due volte Leonard – e, per ritrovare una guardia, dobbiamo scendere fino a Gary Payton nel 1996.
I nomi in lizza quest’anno, dall’inizio, sono stati due: Rudy Gobert e Ben Simmons. Il premio si presta ad interpretazioni filosofiche. Vuoi il giocatore migliore e più versatile della Lega a difendere i 5 ruoli come Simmons o vuoi il fulcro di una difesa Top 5 come Gobert, la cui sola presenza cambia il gioco avversario, dato che i giocatori rinunciano ad attaccare il ferro?
Il mio voto va a chi, da solo, ti garantisce una difesa più che buona: Gobert è meno rimpiazzabile di Simmons.
D.T.: In questo caso, non la penso come Andrea. Partiamo, comunque, dal presupposto che una corsa a due tra Gobert e Simmons era prevedibile, anche osservando i record di squadra e la centralità dei due nei rispettivi sistemi difensivi.
Tuttavia, l’influenza di Gobert come rim protector notoriamente cala con la postseason e, se è vero che il DPOY deve guardare alla stagione regolare, è altrettanto vero il fatto che certi accorgimenti limitino la sua efficacia.
Questione diversa per Simmons, capace di difendere su quasi tutti i ruoli, di utilizzare rapidità e duttilità nei cambi e nelle rotazioni, di “annullare” avversari diretti con braccia lunghissime, sapendosi inserire nelle linee di passaggio altrui. Personalmente, premierei sempre il valore del dinamismo rispetto alla staticità e, oltretutto, Gobert questo premio lo ha già vinto due volte in carriera.
Poi, guardando gli altri possibili candidati, bello veder citati giocatori come Thybulle e Noel: due specialisti capaci di cambiar passo alle partite delle rispettive squadre, con giocate difensive di impatto.
D.Q.: Sono stato tremendamente indeciso fino all’ultimo. La domanda era: Gobert per premiare il rim protector per eccellenza e, dunque, premiare la difesa posizionale, l’intimidazione, il senso della posizione, premiare il giocatore che con la sua sola presenza influenza positivamente l’intera difesa di squadra o premiare un difensore perimetrale – ma non solo – come Simmons, capace di difendere dall’1 al 5?
Alla fine, io ho messo Simmons sopra Gobert per pura preferenza personale, anche se…
Se vogliamo essere onesti fino in fondo, il miglior difensore di Philadelphia è stato Thybulle. In ogni caso, tra Gobert e Simmons non c’è un abisso e, citando Tranquillo, stiamo parlando di sfumature altissime.
D.P.: Rudy Gobert è il Nikola Jokić della difesa. Mi spiego meglio: così come la stella dei Nuggets è in grado da sola di reggere l’intero attacco della propria squadra, il francese è stato la colonna portante della difesa della squadra con il miglior record della Lega. Gobert è in grado di alterare la mappa di tiro degli avversari solamente con la propria presenza in campo e le 2.7 stoppate a partita (career high) sono la ciliegina sulla torta.
Sul secondo posto di Simmons non mi soffermo, posso solo confermare ciò che avete detto.
Piuttosto, vorrei spezzare una lancia a favore di Bam Adebayo, perché non vederlo in Top 5 mi ha lasciato basito. Il “centro” degli Heat è uno dei cinque difensori più versatili della lega, è in grado di difendere efficacemente cinque posizioni e questa sua caratteristica consente a Miami di giocare una difesa incentrata sui cambi difensivi. Non dico che dovesse vincere il DPOY ma, quantomeno, finire tra i primi cinque.
A.S.: Comunque, ragazzi, se True Shooting avesse una franchigia NBA, alla prossima gara Adebayo ci farebbe il didietro a strisce dopo che lo abbiamo snobbato così…
Most Improved Player: vince Julius Randle
A.S.: Parliamo del Most Improved Player. Pensate essere Jerami Grant, rinunciare ad un posto da terzo o quarto violino in una contender come Denver, passare da una gestione offensiva ritmata da Jokić ad una squadra del 1985 come Detroit, diventare primo violino, mostrare al mondo l’evoluzione del proprio gioco sia in qualità che in cifre…e perdere l’unica soddisfazione dell’annata.
Julius Randle è il mio MIP, esclusivamente per ragioni qualitative: se le sue cifre non sono aumentate considerevolmente, il ruolo in campo e il suo impatto hanno avuto un’evoluzione encomiabile. Randle è questa New York: talentuosa, gritty, che si aggrappa ad ogni punto e, per la prima volta dopo anni, vince. Ci si può aspettare un miglioramento da un giocatore “sottoutilizzato” che passa ad essere il primo violino in una squadra meno forte, non è pronosticabile un salto mentale come quello di Randle.
D.T.: È sempre difficile votare il MIP, per una questione di criteri da applicare. Ad esempio, se valutiamo Jokić MVP, in linea teorica sarebbe di diritto pure il più migliorato del lotto, per quanto fosse già franchise player conclamato. Stesso discorso per Zion, cresciuto tantissimo nella sua prima vera stagione completa ma che, nonostante tutto, partiva (magari suo malgrado) da uno status elevato.
Ad ogni modo, per come la vedo io, è stata dura decidere se meritasse più LaVine o Randle, pur calcolando che Wood e Grant risultano di pochissimo sotto per crescita palesata in questo campionato. Tuttavia, i due sopracitati hanno elevato ad un livello altissimo la consapevolezza di sé all’interno del sistema squadra, con un LaVine che ha toccato picchi di efficienza che costringono paragoni ingrati – se guardiamo alla storia della franchigia – con uno che definirei “innominabile”.
In questo senso, Randle merita il premio per due ragioni sostanziali: ha condotto da “giocatore più migliorato dell’anno” l’attacco della squadra sorpresa della stagione, con un carisma che precedentemente non avevo percepito avesse; la seconda riguarda il suo miglioramento al tiro, aumentando in modo netto percentuali e volumi da dietro l’arco, ed acquisendo così una dimensione che costringe i diretti difensori a limitarlo già sul perimetro, cambiando così i game plan difensivi avversari. Per me, se lo merita lui.
D.Q.: Il MIP è il premio che mi ha messo meno in crisi. Sarà perché sono partito con un’idea in testa, sarà perché sono un amante della narrativa, sarà perché le alternative non mi hanno convinto più di tanto, però non votare Julius Randle è reato.
Sicuramente, per motivi diversi tra loro, le stagioni di Grant, Wood, Porter Jr., LaVine e Brown sono state ottime ed è sotto gli occhi di tutti il loro miglioramento, però Randle non è semplicemente passato da essere un Top 45 della Lega ad essere un sicuro Top 20, si è caricato sulle spalle una franchigia “pesante” come NY e l’ha portata a degli storici playoff.
Il tutto mettendo statistiche simili a quelle della sua stagione a New Orleans, con la piccola differenza che lì era bordeline All Star, qui è bordeline All NBA.
D.P.: Il premio di Most Improved Player è spesso esclusivamente basato sulle statistiche base: il giocatore – non sophomore, per una regola non scritta – che aumenta maggiormente i propri numeri solitamente è destinato a portarsi a casa il premio.
Per questo motivo, i due indiziati principali di quest’anno sarebbero dovuti essere Grant e Wood, ma il vincitore è stato Julius Randle, nonostante avesse messo assieme cifre simili a quelle di quest’anno già un paio di stagioni fa a New Orleans. L’ala dei Knicks è stata la protagonista di un miglioramento inaspettato in efficienza e costanza che in pochi riescono a fare, passando dall’essere un giocatore in grado di mettere buoni numeri in un contesto poco competitivo all’essere la stella di una squadra da Playoffs.
A.S.: E, comunque, attenzione a Porter Jr., che forse ce lo ritroviamo qui l’anno prossimo.
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