Il nostro Power Ranking NBA 2022/2023

Power Ranking NBA 2023
Copertina di Matia Di Vito

È di nuovo tempo di Power Ranking NBA, è di nuovo ora di pronosticare quello che succederà fra otto mesi in una lega che è impronosticabile per eccellenza. Rispetto alle offseason del recente passato, le ultime due sono state relativamente prive di eventi notevoli in termini di stravolgimenti dei roster, e dunque delle gerarchie ai piani alti: la migliore assunzione è pertanto che poco cambi in griglia di partenza rispetto al recente passato.

Le ultime stagioni hanno però anche segnato il ritorno “sulla terra” delle contender: sono passati i tempi dei Warriors di Kevin Durant, o dei Big Three di Miami o di Cleveland. È come se il decennio corrente ci avesse riportato indietro ai primi anni del Duemila, dove era l’incertezza a fare da padrona e dove vinceva chi arrivava in fondo più sano. Partiamo, e come ogni anno ricordate: più si scende, meno conta la posizione relativa all’interno dei tier.

Contender

1) Milwaukee Bucks

Sono rimasto impressionato da quello che i Bucks hanno fatto senza Middleton nella serie contro Boston, quando sono andati a tanto così dall’eliminare la squadra più forte della lega in un momento di forma superiore a quello con cui si sarebbero poi presentati alla Finals. La playoff run appena passata ha ufficialmente eletto Giannis al trono di miglior giocatore della lega: il greco ha raggiunto un livello tale per cui la sua sola presenza a roster è quanto si necessiti per essere una contender fatta e finita.

Milwaukee poteva fare poco o nulla quest’estate, e poco o nulla ha fatto. I Bucks hanno scommesso sullo sviluppo di Nwora e sul talento di Beauchamp al draft (prospetto che non era affatto scontato riuscissero ad accaparrarsi), e per il resto hanno confermato la ciurma dello scorso anno, che a mio modo di vedere si troverebbe ora con un secondo anello al dito non fosse stato per l’infortunio di Middleton. Milwaukee ha messo in mostra negli scorsi playoff la classica sicurezza di chi ha già vinto, senza sicumera ma con consapevolezza, e rimane una squadra fisicamente dominante sotto ogni punto di vista (si contende con Boston lo scettro di squadra più fisica della lega, a mio parere), caratteristica che puntualmente muove l’ago della bilancia in postseason.

Tutte le squadre sono a distanza di un infortunio dal non essere contender, nella nuova era della NBA è assodato, ma probabilmente una sola squadra riuscirebbe a esserlo ancora anche qualora il suo secondo miglior giocatore si infortunasse. In una stagione piena di incertezze, i Milwaukee Bucks sono probabilmente la cosa più certa della lega.

2) Golden State Warriors

Per un ragionamento simile a quanto detto per i Bucks, ho la sensazione che Golden State sia la cosa più certa a ovest, pertanto li metto in cima alle mie preferenze. E sì, ho seguito le recenti vicende del duo Poole-Green prima di scrivere queste parole. Le partenze di Otto Porter Jr. e, soprattutto, di Gary Payton II si faranno sentire, ma se abbiamo imparato qualcosa dalla stagione passata è che vicino al #30 gialloblu tutti quanti rendono meglio.

Dunque toccherà a Moses Moody, Donte DiVincenzo, Jonathan Kuminga, James Wiseman e JaMychal Green riempire gli ultimi due/tre spot da rotazione playoff per una squadra che sa perfettamente quel che è. Vero, Curry, Green e Thompson sono dalla parte sbagliata dei 30 anni e le cartucce rimaste da sparare sono sempre meno, ma è legittimo aspettarsi che almeno uno dei tre giovani virgulti scelti tra il 2020 ed il 2021 faccia un ulteriore salto di qualità e diventi materiale da rotazione playoff sin dalla stagione corrente.

La faccenda Green è certamente una nuvola nera che aleggia sopra le speranze da titolo nella baia, ma è anche la naturale conseguenza di come la franchigia abbia gestito le dinamiche interne tra giocatori sotto il regime Kerr: è certamente possibile, se non probabile, che distrugga ogni speranza di mettersi l’anello al dito, ma allo stesso non richiede grosso sforzo d’immaginazione pensare che le stesse dinamiche relazionali che hanno fatto divampare l’incendio possano essere le stesse che lo spegneranno. Come per tutte le contender quest’anno, il margine di errore per i Warriors è minimo, ma credo che siano la squadra che meglio sappia navigare le acque NBA da aprile in poi, perciò partono in pole position nella mia personalissima griglia dell’ovest.

3) Los Angeles Clippers

Nell’introduzione ho scritto che la stagione dei superteam è ormai alle spalle, ma Steve Ballmer probabilmente ha qualcosa da ridire a riguardo. Il roster dei Los Angeles Clippers al completo è, senza troppi dubbi, il migliore della lega. Kawhi Leonard e Paul George a guidare la carica, uno scorer da venti punti a partita che completa perfettamente i primi due in Norman Powell, Terance Mann, Nic Batum, Robert Covington e Marcus Morris a completare il reparto ali e a offrire opzioni alternative a Ivica Zubac sotto canestro; Reggie Jackson, Luke Kennard e il nuovo arrivato John Wall a gestire i possessi che Kawhi e George lasceranno loro.

Per non parlare di Coffey e dei giovani Boston Jr. e Preston, gente che vedrebbe senza dubbio più minuti altrove. Il roster più costoso della lega è con ottime probabilità anche il più completo e versatile in ottica playoff, e il fatto che a guidarlo ci sia uno dei migliori allenatori della lega rende il tutto ancora più spaventoso per gli avversari. E allora perché metto i Clippers dietro ai Warriors? Perché non sono convinto che senza uno tra Kawhi e Paul George questa squadra sia ancora una contender.

“Bella forza”, direte voi: tutte le contender senza una stella automaticamente non lo sono più. Ma non tutte le stelle delle contender tornano da un infortunio al crociato anteriore dopo una serie di infortuni alle ginocchia, e non tutte hanno alle spalle una storia di infortuni (soprattutto in postseason) che spesso le hanno impedito di rendere al meglio. Una statistica raccoglie tutti i dubbi che ho sui Clippers: di 452 partite totali che Leonard e George avrebbero potuto giocare in maglia Clippers, i due ne han giocate 242, poco più della metà. È dunque lecito dire che con le due stelle losangeline è come tirare in aria una moneta: se uscirà il verso giusto, probabilmente la stagione si concluderà con un anello al dito, ma nella metà degli universi possibili sarà il verso sbagliato a fare capolino.

4) Boston Celtics

Lo so, il putiferio scoppiato attorno a Coach Udoka di certo non ha fatto alzare le possibilità di vittoria dei Celtics, e di certo nemmeno l’infortunio del Gallo o il ritorno sotto ai ferri di Robert Williams. Rimane però il fatto che i Celtics dell’anno solare 2022 siano stati, sino ad ora, una delle macchine da guerra più perfette che si siano viste negli ultimi anni, e solo l’infortunio di Williams (fortemente limitato durante i playoff, a dir poco) e acciacchi vari a Smart e Tatum ne hanno potuto rallentare la corsa verso il titolo.

I Celtics della scorsa annata sono stati una contender anomala: sistema offensivo decisamente limitato per bontà e varietà di opzioni e assenza totale di giocatori che possano ascriversi al gotha della lega sono tratti che, normalmente, comportano l’automatica esclusione dal circolo del basket che conta. E invece un’identità difensiva granitica – basata sulla possibilità di cambiare 1-5 e su un attivissimo pre-switching che consentiva a Time Lord stesso di essere sempre lontano dalla palla e attivo in aiuto al ferro – ha portato la truppa di Udoka laddove chiunque a inizio stagione riteneva fosse impossibile.

Quindi sì, è vero che l’artefice primario del successo verde non sarà in panchina quest’anno (e, se ho capito un minimo le dinamiche della lega in tutti questi anni, non ci tornerà mai più), ma è altrettanto vero che i protagonisti della cavalcata sono ancora tutti lì, e anzi, si è pure aggiunto Malcolm Brogdon. Chi scrive ritiene che Brogdon sia stato forse l’acquisto più sottovalutato dell’intera estate: il playmaker ottenuto da Indiana diventa immediatamente il miglior creatore e distributore di gioco a roster, vera e propria boccata d’aria per una squadra il cui tallone d’Achille sono state le palle perse e l’incapacità di entrare nei set offensivi a difesa schierata.

Per di più, Brogdon è perfetto per lo schema difensivo di Boston: playmaker sovradimensionato, capace di leggere prima le azioni avversarie, duro sul proprio uomo, un prodotto da Virginia fatto e finito. L’altra novità in casa Celtics è Sam Hauser, che si candida ad essere il Max Strus dei leprecauni: in un reparto lunghi ridotto all’osso, non mi stupirei qualora riuscisse a trovare 20′ a notte.

Proprio la mancanza di opzioni sotto canestro è forse il dubbio maggiore, perlomeno per la stagione regolare, con Al Horford unica vera opzione da 5, corpo che probabilmente Mazzulla cercherà di preservare il più possibile per la primavera (è probabile che l’annata passata abbia rappresentato un’eccezione in termini di gare giocate per il veterano, forse anche grazie ai ritmi bassi della precedente annata in maglia Thunder): occhio al mercato dei free agent, giacché non sarei per nulla stupito qualora i verdi cercassero un corpaccione per navigare indenni attraverso le 82 gare di Regular Season (*colpo di tosse* WHITESIDE *colpo di tosse*).

5) Phoenix Suns

Una squadra che viene da una stagione da 64 vittorie, che partiva coi favori del pronostico nella scorsa postseason, che ha trattenuto tutti i membri della rotazione playoff tranne uno dei meno importanti (che verrà probabilmente sostituito da un pari valore), i cui giocatori chiave sono tutti giovani ed in rampa di lancio tranne Chris Paul. Se ci fermassimo qua, sarebbe da stupirsi qualora i Suns non fossero in cima a ogni power ranking.

Ma la realtà dei fatti ci dice che la sconfitta in Gara 7 contro i Mavericks è una delle più fragorose degli ultimi anni, e la storia ci insegna che di rado batoste del genere passano senza lasciare il segno, e che nella maggior parte dei casi l’unico modo per scrollarsi di dosso i fantasmi del passato è radere al suolo tutto e ricominciare da capo.

Lusso che però Phoenix, legata a doppio nodo agli ultimi giri di danza di Chris Paul, non si può permettere: ecco quindi che si presenta ai nastri di partenza della stagione con uno spogliatoio apparentemente in combustione, con lo strappo Monty Williams-Ayton ancora da ricucire, con Jae Crowder che si rifiuta di lasciare il posto in quintetto a Cam Johnson e chiede di essere scambiato, con buona parte del roster conscio di essere stato proposto ai Nets nel tentativo di strappare Kevin Durant e, come se tutto quanto detto finora non bastasse, nel bel mezzo di un cambio di proprietà.

I Suns perseguono dunque una filosofia che solitamente nella NBA non paga: cambiare nulla affinché cambi tutto. Costretti loro malgrado a puntare sulla continuità, i Suns sembrano lontani dai Clippers come potenziale e lontani dai Warriors in termini di certezze. Rimane però quanto detto all’inizio della sezione, e Vegas stessa sembra puntare forte sui Suns come terza forza a ovest, unica vera antagonista alle due costosissime californiane.

Quasi impossibile prevedere cosa sarà della stagione della franchigia dell’Arizona: lo spogliatoio si compatterà attorno ai due totem e torneranno quelli della passata stagione? Ci sarà una trade di metà stagione per liberarsi delle mele marce e in un sol colpo tentare di raddrizzare la barca? Tutto imploderà e non faranno nemmeno i playoff? Nessuno degli scenari qui elencati pare essere fuori dal reame del possibile.

Schegge impazzite

6) Brooklyn Nets

Ci rinuncio. Non ci ho capito niente e ci rinuncio. Un giocatore tuttora top 5 della lega che ha chiesto una trade, ha imposto un ultimatum alla proprietà (“o cacci l’allenatore ed il GM o me ne vado via io”) poi è tornato all’ovile col broncio; una stella che ha giocato metà delle partite, che ha di fatto portato un suo compagno All-Star a chiedere una trade, totalmente inaffidabile, al limite della presentabilità nell’unica serie playoff in cui è stato costantemente cercato dagli avversari; una terza stella o presunta tale che non vede il campo da più di un anno. Cosa mai potrà andare storto?

“Eh ma Irving è in contract year, vedrai che mette la testa a posto”: devo ricordarvi come andò a finire l’ultimo contract year di Kyrie, con lui ospite non pagante in campo per i Celtics? “Eh ma Durant vuole solo giocare a basket”: potete elencarmi tutte le stelle non chiamate Kobe che sono ritornate sui propri passi dopo aver chiesto una trade?”, “Eh ma se Simmons comincia a giocare alla Draymond Green”: dai su, per favore. La verità è che vedo uno scenario su cento in cui tutti i tasselli cadano al posto giusto per i Nets. Certo, in quel caso la franchigia di Tsai non sarebbe niente male: oltre ai tre sopra citati, Harris, Seth Curry e Royce O’Neale formano una bozza di rotazione a sei uomini niente male, anche se a trazione sfacciatamente anteriore.

È probabile che tra Patty Mills, Cam Thomas, Kessler Edwards, TJ Warren, Nic Claxton e Markieff Morris un altro paio di corpi da rotazione playoff si tirino fuori. Ma il tutto parte da un assunto: che le tre stelle giochino 200 partite in tre, altrimenti i Nets potrebbero di nuovo dover passare dal purgatorio del play-in. E che poi arrivino sane ai playoff. E che tutti gli altri pezzi attorno a loro completino perfettamente le proprie mancanze. Certo, quando hai Durant e Irving hai una possibilità contro chiunque e di certo se parti col piede giusto puoi pensare di completare il roster con i giusti pezzi, ma capite che le possibilità che tutto ciò accada sono davvero ridotte al lumicino? Se fossi uno scommettitore, ora che le quote sono belle alte punterei addirittura due lire sul fatto che KD non finisca la stagione in maglia Nets.

7) Denver Nuggets

Aprile 2021. La trade per Aaron Gordon sembra aver dotato i Nuggets di quel pezzo finale che per tanti anni hanno cercato. Denver scala i Power Ranking dell’ovest, alcuni addirittura la mettono davanti alle due di Los Angeles. Poi, nei secondi finali di una partita ormai persa contro Golden State, l’infortunio al crociato anteriore di Jamal Murray infrange i sogni di gloria della franchigia del Colorado. Oggi, un anno e mezzo dopo, Murray è pronto a fare il suo rientro in campo, così come lo è Micheal Porter Jr.

Jokić e Gordon sono ancora lì dove erano nel 2021, e nel mentre a completare la rotazione si sono aggiunti KCP (uno degli arrivi più sottovalutati dell’intera offseason, a mio modo di vedere), Bones Hyland, Jeff Green, Bruce Brown, Davon Reed e Ish Smith. Denver è probabilmente ancora troppo corta per essere considerata una vera contender e, ancor più importante, l’incognita infortuni sembra essere un punto di domanda ancora più grande che per le altre pretendenti al trono dell’ovest. La prima stagione al ritorno da un crociato non è mai facile, soprattutto per un giocatore esplosivo come Murray, e i problemi che perseguitano Porter Jr non sembrano essere di facile risoluzione.

Però, qualora il quintetto dovesse rimanere sano, non dovrebbe stupire se i Nuggets cercassero di compiere una mossa alla trade deadline per aggiungere profondità a un roster che, nei suoi titolari, può giocarsela con chiunque. Tutti gli amanti del basket si meriterebbero di vedere questo Nikola Jokić competere ai playoff con un cast di comprimari di primo livello.

8) Los Angeles Lakers

Oh shit, here we go again”. Non ce la faccio proprio a far scendere i Lakers sotto a questo tier: LeBron e Anthony Davis, se sani, sono ampiamente due giocatori top 15 della lega, e di tutte le coppie in dotazione alle contender sono probabilmente anche la meglio assortita. Il problema, oltre alla precaria salute dei due (più del giovane della coppia, a dirla tutta), è che il supporting cast più che esaltare le caratteristiche delle due stelle le affossa. L’ultimo arrivato, Patrick Beverley, è probabilmente l’unico punto fermo della closing lineup oltre i due sopracitati LeBron ed AD, ed è anche l’unico che porta alla causa losangelina caratteristiche complementari a quelle delle stelle.

Ad oggi non è ben chiaro chi occuperà gli ultimi due posti del quintetto finale: Kendrick Nunn offre più palla in mano che senza, lascia a desiderare in fase difensiva e lo scorso anno è sempre parso diversi gradini sotto Malik Monk; Lonnie Walker non è ancora riuscito a trovare la propria dimensione nei primi quattro anni di carriera NBA, e di certo un salto di qualità fino a diventare punto fermo di una contender non pare uno degli scenari più probabili al momento.

Austin Reaves fa il suo, ed al momento è probabilmente una delle migliori opzioni a disposizione del neo-HC Darwin Ham per quanto i suoi punti di forza completino quelli di LBJ e AD (per quanto il fatto che un undrafted sophomore possa essere considerato il quarto giocatore di rotazione migliore in una closing lineup faccia pensare); Troy Brown Jr. fa il paio con Lonnie Walker, ancora alla ricerca di se stesso dopo quattro anni in cui ha fatto alternare flash di potenziale e buchi neri; Juan Toscano-Anderson è un giocatore da rotazione NBA, ma non ha praticamente visto il campo negli scorsi playoff.

Thomas Bryant invece torna da un crociato e, per quanto possa essere efficace in attacco, dà molto da pensare sotto il proprio canestro; Damian Jones di certo non dà garanzie in ottica playoff; per concludere, Russell Westbrook pare un po’ essere l’origine di ogni male per la franchigia gialloviola e rappresenta il grattacapo maggiore per Ham: farlo partire subito dalla panchina o dargli una possibilità in quintetto? La sua propensione al sacrificio e al fare la parte del gregario sarà maggiore rispetto a quella della passata stagione o è destinato a ripetere gli errori già commessi pochi mesi fa?

Questi Los Angeles Lakers allo stato attuale sono lontani dall’essere una contender, ma attenzione qualora decidessero di premere il grilletto e scambiare Russ insieme alle due prime scelte ancora in loro possesso: vi stupirebbe se un quintetto Beverley-Hield-LBJ-AD-Turner, con qualche buon giocatore in uscita dalla panca, se la giocasse con chiunque?

Playoff sicuri

9) Miami Heat

Sarò un inguaribile vecchiardo, ma credo che gli Heat abbiano una possibilità di vincere il titolo anche quest’anno. Nessuno li mette nel cerchio delle contender, e come vedete non lo sto facendo nemmeno io, ma quanto visto negli scorsi playoff rappresenta l’esatta ragione per cui, a mio modo di vedere, gli Heat rappresentano una minaccia concreta alle prime due della classe. Nonostante si siano presentati alle finali di conference con le energie al lumicino e quasi tutti i loro protagonisti infortunati o comunque fortemente limitati, gli Heat hanno portato Boston all’ultimo secondo di Gara 7, andando a tanto così dal giocarsi il titolo contro i Warriors.

La combinazione di fisicità, coaching di primissimo livello e altruismo di cui le loro stelle sono pregne fa di questo roster una vera e propria mina vagante per i piani alti della Eastern Conference. Rispetto allo scorso anno gli Heat hanno un P.J. Tucker in meno, assenza che si farà sentire ma a cui Spoelstra & Co. stanno cercando di sopperire con la solita dose di fantasia: aspettatevi molto Butler da 4, naturale evoluzione del suo decorso fisico negli anni, e persino qualche tentativo di doppio lungo Adebayo-Yurtseven, col turco che in estate ha lavorato molto sul tiro da fuori e sulla mobilità laterale.

La vera scommessa dell’anno in casa Heat risponde ancora al nome di Victor Oladipo, che sembra poter tornare, se non ai fasti di un tempo, comunque a livelli da titolare in una rotazione playoff. Alla voce “Piccoli Miami Heat crescono” cercate invece i nomi di Jamal Cain e Nikola Jović: il primo è un undrafted rookie da Marquette/Oakland che tanto bene ha fatto in preseason (segnatevi il suo nome se volete scommettere sul prossimo Duncan Robinson), il secondo talento che tante teste ha fatto girare in Europa negli anni passati, senza però mai esplodere veramente.

Se il primo potrebbe finire per essere parte degli ingranaggi come tiratore e portatore d’acqua, è il serbo a rappresentare una vera e propria potenziale ancora di salvezza per la franchigia della Florida, soprattutto a lungo termine. Infatti l’acquisizione di Lowry non ha risolto i problemi dell’attacco a difesa schierata, e di certo Herro da solo non può essere considerato come una possibile soluzione a tutti i mali della franchigia (per quanto io mi aspetti un ulteriore salto di qualità per il Sixth Man of the Year in carica): il potenziale da passatore e tiratore dal palleggio di Jović, unito alla sua taglia, farebbe salivare qualunque front office. Se dovessi scommettere due lire su una franchigia pronta per fare uno scambio a gennaio, farei un cerchio bello grosso intorno al nome di Miami.

10) Philadelphia 76ers

Probabilmente sono stato troppo cattivo con i 76ers. Quarta squadra a est, e mettendogli sopra anche i Nets in termini di ceiling? I 76ers sono considerati all’unanimità contender, ma io davvero non riesco a considerare tale una squadra che deve pagare una tassa come il James Harden visto agli scorsi playoff per 35 minuti a notte. Le partite di preseason lasciano ben sperare: Harden sembra aver recuperato un primo passo perlomeno presentabile, l’elevazione sembra tornata quella di un paio di anni fa. Qualora il pupillo di Morey riuscisse ad essere una seconda opzione offensiva credibile, seppur statica, e non fosse un totale negativo in difesa, cosa che troppo spesso gli accade in primavera, allora alzerei Philadelphia anche di un paio di posizioni, ma fino a che non vedo non credo.

Il resto del roster sembra essere pronto per competere ad alti livelli: non ho dubbi che Maxey faccia un ulteriore salto di qualità (e se dovessi scommettere ora, direi che da qui a fine stagione ruberà ad Harden i galloni di seconda stella della squadra), e il terzetto composto da Melton, Tucker e House è un’ottima aggiunta a una rotazione playoff che già poteva fare affidamento su Harris, Thybulle, Korkmaz e Niang. Morey sembra aver trovato la soluzione al dilemma “minuti senza Embiid” per i playoff: giocare senza 5 e fare affidamento sull’usato sicuro Tucker.

Per la regular season aspettatevi molto Reed e soprattutto molto Harrell, vero feticcio di Doc Rivers, ma quando il gioco si fa duro credo toccherà all’ex Bucks. Per quanto possa sembrare strano a dirsi dato che non sono uscite voci di alcun tipo, credo che le mosse estive indichino chiaramente la convinzione di Morey di andare avanti con questo gruppo a qualunque costo: qualora la partenza non dovesse essere delle migliori, occhio alla panchina di Doc Rivers.

11) Dallas Mavericks

Per la quarta estate consecutiva, i Dallas Mavericks paiono aver fallito nell’obiettivo di assemblare una contender attorno a Luka Dončić. Ai nastri di partenza, i texani si presentano con gli stessi effettivi che hanno raggiunto le Western Conference Finals lo scorso anno, salvo le aggiunte (probabilmente non determinanti) di McGee e Wood e la separazione decisamente non consensuale con Brunson. L’assenza del playmaker da Villanova, a tutti gli effetti il secondo miglior giocatore dei texani nella scorsa stagione, sia in regular season sia ai playoff, peserà molto sulle speranze da titolo di Luka & Co., che ora paiono parecchio lontani dai primi tre o quattro roster dell’ovest.

Saprà Dinwiddie riproporsi sui livelli pre-infortunio? Può uno tra Hardy e Green sorprendere con dei miglioramenti estivi inattesi e alzare il livello che i Mavs possono raggiungere? Se le risposte a entrambi i quesiti sono negative, sarà complicato per i Mavericks anche solo ripetere l’exploit della scorsa stagione, per quanto avere probabilmente il miglior giocatore offensivo della lega in contesto playoff dia la possibilità di giocarsela contro chiunque in qualsiasi contesto.

Appunto, tutto comincia e finisce con Dončić: lo sloveno circondato da quattro ali versatili in un quintetto small-ball garantisce verosimilmente un numero minimo di vittorie tale da garantire l’accesso ai playoff senza eccessivi patemi d’animo. Però la delusione per l’offseason sotto tono rimane: sono ormai tre anni che dei Mavericks si dice “Se le triple entrano, sono contender”, e in tutta onestà mi aspettavo che il piano di Cuban e compagni fosse un pelo più elaborato di così.

12) Memphis Grizzlies

Similarmente a quanto detto su Dallas poco sopra, sono un paio di anni che mi aspetto che Memphis prenda delle fiches dal suo mucchio e le metta in mezzo al piatto, anche al costo di rischiare qualcosa. E invece, contrariamente alle (mie) attese, anche quest’estate i Grizzlies hanno deciso di pazientare. Rispetto alla scorsa stagione, Coach Jenkins deve fare a meno di SloMo Anderson e Melton e, almeno sulla carta, i due erano una parte importante della rotazione playoff vista a maggio e non sono stati rimpiazzati a dovere: evidentemente i piani alti devono puntare forte sullo sviluppo di Ziaire Williams e sull’impatto del rookie Jake LaRavia, altrimenti la strategia non si spiega.

Morant-Bane-JJJ è una buona base per puntare in alto, ma assolutamente non sufficiente per avere ambizioni da titolo. Il cast dei comprimari è di buon livello, il che – unito alla solidità del sistema Jenkins – garantisce (o quasi) la presenza di Memphis ai playoff, ma nella mia testa non riesco a smettere di sentire un orologio che fa “tic tac” ogni volta che vedo Ja Morant atterrare dopo un salto o una penetrazione nel traffico.

Tyus Jones, Brandon Clarke, Steven Adams, Xavier Tillman, Dillon Brooks, John Konchar, forse persino il rookie Kennedy Chandler, sono giocatori che consentiranno a Memphis di non sfigurare notte dopo notte in regular season, ma che la società deve essere disposta a mettere sul piatto nel futuro prossimo se vuole evitare di diventare la prossima Portland, epitome della franchigia dove la stella crea un’atmosfera quasi familiare, ma che per converso trattiene il front office dallo scambiare giocatori per arrivare a dei pezzi che potrebbero fare la differenza in primavera.

13) Cleveland Cavaliers

Credo di essere leggermente più positivo sulla stagione dei Cavs rispetto al consenso popolare. Ma in fin dei conti la franchigia dell’Ohio ha dimostrato nella scorsa stagione di avere delle fondamenta estremamente solide, supportate da indicatori che puntano alla possibile replicabilità della stagione appena conclusa, peraltro costellata da infortuni. A tutto questo aggiungete un profilo come quello di Donovan Mitchell, a mio modo di vedere ora persino sottovalutato dopo anni di ipervalutazione: Mitchell rimane un ottimo creatore dal palleggio, soprattutto per la regular season, e ha dimostrato in passato di poter essere un difensore neutro, sebbene negli ultimi anni le sue prestazioni da quel lato siano state quantomeno rivedibili (soprattutto nella difesa sui blocchi, particolare in cui è tra i peggiori della lega nelle ultime stagioni).

Ovviamente le dinamiche di convivenza Mitchell-Garland saranno al centro delle attenzioni della stagione dei Cavs (e forse dell’intera lega), ma ho sufficiente fiducia nel prodotto di Vanderbilt da dire che, almeno dal punto di vista offensivo, il mix dovrebbe risultare essere di sicura efficacia. Il resto del roster potrebbe presentare lo stesso problema che sarebbe puntualmente emerso lo scorso anno qualora fossero arrivati i playoff: l’assenza di veri two-way player. Il rookie Agbaji avrebbe potuto rappresentare l’anello mancante della catena, ma la dirigenza l’ha (correttamente) sacrificato insieme a Markkanen e Sexton per arrivare a Mitchell.

Così i Cavs si presentano ai nastri di partenza col solito dubbio nello spot da 3, tuttora di pertinenza di Isaac Okoro, difensore a dir poco commovente ma attaccante di livello infimo. Love, Stevens, Lopez e Wade sono tutte ottime opzioni per far rifiatare le due torri Mobley e Allen, ma nessuno di loro rappresenta una vera alternativa a Okoro nella closing lineup (tranne forse Wade, fresco di rinnovo). Può uno tra Osman e LeVert innalzare il proprio gioco fino a diventare un’opzione credibile in ottica playoff? Il tempo stringe, e molto probabilmente quest’anno conosceremo già la risposta.

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Andrea Bandiziol
Andrea, 31 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di True Shooting vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora.