Imprevista sulla carta – ma non scontata nello svolgimento – la serie di Conference Finals ad ovest tra Dallas Mavericks e Golden State Warriors appare forse la più appetibile a disposizione per la NBA.
Non c’è neanche bisogno di sforzar troppo l’immaginazione per capire che per molti sarà Luka Dončić contro Stephen Curry, per buona pace di due squadre figlie di percorsi diversi negli ultimi anni sul campo, meritevoli del risultato raggiunto, che per i Warriors significa dolce ritorno dopo due stagioni di purgatorio vero.
Ma dietro alle semplificazioni da copertine patinate, c’è ovviamente molto di più. Ci sono due allenatori con idee di pallacanestro diverse, roster con peculiarità distinte e valori teorici non proprio livellati. Ma quest’ultima questione conta davvero poco e basta guardarsi indietro di neanche troppo per capirlo.
Ok, come si suol dire “ai playoff è un altro sport”. Ma i Mavericks hanno battuto tre volte su quattro i Warriors durante la regular season. Si tratta di un dato inutile? Probabilmente sì, però non dimentichiamo quanto Memphis – anch’essa capace di dar più di un grattacapo ai Dubs durante le 82 partite annuali – abbia confermato un ruolo di “squadra difficile da digerire” per i ragazzi allenati da Steve Kerr.
Ed anche stavolta, come al turno precedente, tanto sarà importante lo stato di forma della panchina dei Warriors. Perché se Gary Payton II è probabilmente un ottimo difensore sulla palla in meno da spendere, Andre Iguodala e Otto Porter Jr. rappresentano due corpi pesanti da alternare nella marcatura di Dončić . Chiaramente il tema centrale della serie. Ma non è il solo.
Le differenze sostanziali tra le due squadre restituiscono tanti spunti sui quali concentrarci, partendo dalle rotazioni degli effettivi, passando per gli stili di gioco e giungendo ai ritmi tendenzialmente preferiti. I Warriors rappresentano “il movimento”: difendono cambiando spesso e in modo aggressivo già dal portatore per favorire la transizione, condizione ideale per entrare nell’attacco fatto di tagli e blocchi del sistema Kerr. Dallas invece predilige impostazioni sonnolente, a misura delle abitudini del loro leader conclamato, sfruttando la sua capacità di creare per sé stesso e per i colleghi. Dopo che (faticosamente) è stato mascherato nell’altra metà campo.
Insomma, chi impone il suo gioco avrà un vantaggio importante. E tra due giochi così agli antipodi, sarà difficile veder un compromesso di sopravvivenza: lasciamo perdere quindi i valori esperienziali e quelli tecnici, la serie può finir velocemente ma può anche trascinarsi a lungo. Dipende tanto da come rispondono i singoli.
E questo non significa necessariamente che saranno le superstars a deciderla, tutt’altro. Se c’è una cosa che accomuna gli stili difensivi di Kerr e Kidd, è affidarsi ai raddoppi soffocanti sui creatori avversari. Quindi, se l’aggressività paga, saranno i cosiddetti role players ad avere i colpi decisivi all’interno delle sfide. Servirà la capacità di sfruttare errori di rotazione o semplici ritardi, per avvallare parziali a favore.
Per cui sarà importante capire quale dei due possibili X Factors – intendendo rispettivamente Jordan Poole e Spencer Dinwiddie in cima alla lista dei papabili – riuscirà a tener maggior continuità.
Per entrambi, un qualcosa della quale sono ancora alla ricerca in questa postseason, considerando l’andamento ondivago tenuto negli incroci precedenti.
Insomma, se guardiamo alle predictions dei più il cortocircuito appare evidente: Dallas non doveva essere qua. O quantomeno, non era prevista. Ma nel frattempo che cercavamo di evidenziar le carenze di un roster trasformatosi post Trade Deadline, Jason Kidd trasformava i suoi in un gruppo solido ed efficiente, capace di resistere ad un avvio di playoff contro i Jazz senza il suo uomo centrale, seppur Utah c’abbia messo qualcosa del suo.
Di contro, Golden State ci appare come un sistema rodato ed in apparenza formato su una spina dorsale che si conosce a memoria. Ma si tratta in ogni caso di una squadra “nuova”, nonostante sia figlia degli anni d’oro conclusi a Toronto nel 2019, con l’infortunio di Kevin Durant a seguito di quello dello Splash Brother Klay.
Wiggins, Poole, Porter e Kuminga hanno preso abitudine a giocare con Steph e Draymond senza la presenza di Thompson, soffrendo non poco lo slittamento degli equilibri conseguente al suo ritorno.
Contro Denver abbiamo visto spesso funzionar tutto quasi alla perfezione, ma anche qui il modello di riferimento non è esattamente ideale. E certe sicurezze possono venir meno, se gli avversari si presentano tosti ed ispirati in campo. Chiedere, a questo proposito a Booker ed ai Suns nel post gara 7.
Anche e soprattutto in conseguenza a tutto ciò, è impossibile non aprire questa analisi sull’argomento più mainstream possibile. Riguardante le attenzioni da prestare a quello sloveno che fa tanto paura.
Caro Kerr, come si ferma Dončić?
Premettendo che non abbiamo un volume gigantesco di episodi da prendere come riferimento, i Warriors vorranno provar a riuscire dove ad oggi tutti han fallito. E cioè a limitare pesantemente Luka durante la postseason. Aggiungendo le dieci gare disputate in questa edizione, il ragazzo viaggia 32.7 punti per gara, 9.3 rimbalzi e 8.3 assist in 23 partite disputate in carriera.
D’accordo che la prima serie vinta è avvenuta al primo turno, contro i Jazz, ma senza sforzarci troppo possiamo ricordare che l’unico in grado di metter un freno a Dončić nei due anni passati, è stato lui stesso. Arrivato a giocarsi i momenti decisivi letteralmente stremato, per aver trainato i compagni al ritmo del più classico degli hero ball. Brunson e Dinwiddie in questo dovrebbero aiutare un po’ di più, almeno secondo programma.
Il tema però è un altro, e riguarda la tendenza di Kerr nella gestione delle superstars avversarie, attutato nei primi due turni di questa postseason: perché concentrar la difesa su un singolo dalle skills illimitate, quando si può annullarne il contorno?
Una tendenza che ha pagato tantissimo sia contro Nikola Jokić che nella guardia a Ja Morant, entrambi in grado di tener medie abbondantemente oltre i 30 punti per gara, ma usciti sconfitti.
Ma questo non significa ovviamente disinteressarsi del destino della palla, quando arriva in mano a Luka. Tanto meno lasciarlo impostare nella più completa serenità, lasciandogli spazio per il tiro, o limitandosi a cambiare sistematicamente sui pick&roll. Anche perché sia per Jokic che per Morant non è stata lasciata vita facile, a prescindere dalle distinte capacità decisionali e le creazioni per i compagni.
In questo, volendo Dončić è forse ancor più pericoloso di Nikola, perché supportato da un sistema perfettamente strutturato per funzionare in conseguenza alla sua gravity, che non solo si trova al completo (eccezion fatta per un Tim Hardaway Jr. ormai fuori da tempi immemori) ma appare pure bello in forma. E se non possiamo dimenticare i sopracitati colleghi di backcourt – e neanche quel Dorian Finney-Smith da 8 su 12 dall’arco in gara 4 con Phoenix – c’è pure un Maxi Kleber scatenato da attenzionare. Soprattutto nei giochi a due con lo sloveno. Al momento, 29 su 43 da tre punti per lui in questa postseason.
Quindi, concentrarsi sul lasciar Dončić c offensivamente sotto media sarebbe uno sforzo inutile, pertanto molto meglio complicargli la vita. Attaccarlo in difesa è ovviamente il primo passo, per sperar di sfiancarlo attorno ai minuti conclusivi, ma servono giocatori da alternargli davanti. Capaci di complicargli la visione, forzando più palle perse possibili. Ed i corpi da spendere, i Warriors li avrebbero.
Il principale deputato ad occuparsi di Luka (ce lo dice anche la regular season) è Andrew Wiggins, contro il quale ha segnato comunque il 47% dei suoi tiri nelle quattro sfide stagionali, ma trovandosi spesso a perdere la palla. La versatilità difensiva e la tenuta fisica dell’ex Timberwolves sarà decisiva, a maggior ragione in chiusura di partita, ma occasionalmente potrebbe essere sostituito dai vari Porter, Iguodala, Green e volendo Kuminga. Soprattutto se appare importante contenerne la forza fisica.
In alternativa, dovessero trovarsi su di lui copri più piccoli, l’aggressività di Curry e Poole potrebbe a tratti risultare sufficiente, e volendo – malgrado tutto ciò che ha perso nel post infortunio – anche Klay Thompson è in grado di offrir una manciata di azioni limitanti efficaci, tenendo la posizione.
Certo, partendo dall’assenza già citata di un altro buono da spendere come Payton II, dovessero saltar le soluzioni offerte da Iggy e Otto (non esattamente al meglio in avvio di serie), i sostituti occasionali di Wiggins potrebbero arrivar un po’ corti nell’alternanza, calcolando quelle questioni di maturità ed esperienza che potrebbero limitare l’utilizzo di Kuminga. Oltre al pericolo di vederlo caricarsi rapidamente di falli.
I do expect the Warriors to use Jonathan Kuminga for small stretches on Luka Doncic. Possibly early in quarters before they near bonus because Kuminga is aggressive and Luka is a foul magnet. They did it in three of the four regular season matchups. Here is what it looked like. pic.twitter.com/x74a5tHiEr
— Anthony Slater (@anthonyVslater) May 16, 2022
Bullock e Finney-Smith alla prova del trenta
Perdonateci, l’avrete sentito dire fino alla nausea ormai ma per un tifoso Mavericks è così strano che tocca ripeterlo: i recenti successi di Dallas passano prima di tutto da un cambio di passo in difesa. Si è visto più o meno in tutta la Regular Season, ma la serie contro i Suns è stato il vero banco di prova valido per il livello successivo. Missione agevolmente compiuta, anche grazie ai puntuali aggiustamenti effettuati da Kidd dopo le prime due gare.
I punti chiave sono stati essenzialmente tre: uso dell’hedging per evitare che Doncic venisse puntato sistematicamente, aggressività e giusti angoli sulla palla e lontano da essa, intasamento delle linee di passaggio anche a costo di concedere spazio ad un tiratore sul lato debole.
Ora Dallas si trova di fronte una squadra che attacca in maniera abbastanza diversa dai Suns (e, a dire la verità, da tutte le altre squadre NBA). Golden State, infatti, gioca un numero molto ridotto di pick&roll per quelli che sono gli standard attuali, preferendo blocchi lontano dalla palla ed un costante movimento dei tiratori per smarcarsi.
Giocata effettuata | Frequenza Suns | Frequenza Warriors |
Transizione | 13.2% | 15.7% |
Isolamento | 5.7% | 5.5% |
Pick and roll | 28.7% | 18% |
Post up | 5.2% | 3.4% |
Tiri sugli scarichi | 23.2% | 22.3% |
Handoff | 3.5% | 6.6% |
Tagli | 6.5% | 11.3% |
Tiri in uscita dai blocchi | 3% | 6.6% |
La capacità di Dallas di cambiare su quasi tutti tornerà ancora utile, ma vista la precisione con cui i Warriors eseguono gli schemi servirà un’attenzione ancora maggiore ai dettagli.
Pensando alla filosofia di Kidd e agli scontri tra queste due squadre durante la stagione è probabile che vedremo un atteggiamento aggressivo nei confronti di Curry. Raddoppi, blitz e in generale sempre due difensori su di lui ad ogni blocco. L’obiettivo sarà quello di frustrarlo, stancarlo e fargli perdere fiducia: la sua storia dice che se ha un difetto è proprio quello di calare di testa quando il tiro non gli entra per un po’.
Il piccolo inconveniente è che Curry subisce questo trattamento da circa…tutta la carriera? Steph probabilmente riesce a trovare un passaggio rapido al bloccante pure nel sonno, che il più delle volte è Draymond Green, AKA il miglior passatore di sempre sullo short roll o giù di lì (chiedo venia a Powell, ma anche se di pochissimo sta dietro). Finché in campo ci sono Looney e/o Kuminga la situazione è risolvibile, ma in alcuni tratti della partita l’Orso Ballerino potrebbe trovarsi come Fantozzi a cena dalla contessa: le mani morbidissime di Klay Thompson alla sua sinistra, quelle recentemente roventi di Jordan Poole sulla destra. Uguale indecisione, ma con la certezza di cascare in piedi.
Kidd dovrà quindi inventarsi ancora qualcosa di nuovo. Ha sicuramente senso affollare il campo quando Curry ha palla in mano su un lato, sperando che il #30 non peschi il compagno libero sull’altro angolo: l’ex Davidson è un eccellente passatore, ma non ha l’estro e la visione di un…chessò…di un Jason Kidd, ecco! È però probabile che riesca, in un modo o nell’altro, a tirare in mezzo Doncic in uno dei suoi ghirigori in giro per il campo, prima o poi.
Mi aspetto anche che Finney-Smith possa partire su Curry al posto di Bullock: ad un certo punto i Warriors ti costringono comunque al cambio e ultimamente lo fanno spesso con le due guardie che si incrociano. Potrebbe quindi avere senso tenere un giocatore più reattivo e intelligente come DFS nelle prime fasi dell’azione per poi opporre allo Chef la maggiore abilità come difensore POA di Bullock.
Una serie di dubbi però resta: come se la caverà Brunson, che sembra in una situazione quasi identica a quella di Poole nell’essere la potenziale chiave di volta in attacco e contemporaneamente l’anello debole in difesa? Come potrà Bertans collezionare anche solo una manciata di minuti? Ntilikina e Josh Green, potenzialmente perfetti nella loro metà campo in questa serie, risponderanno presente al tiro?
Ebbene sì, c’è un motivo se definiamo questa serie come una sfida tra attacchi.
Per un’altra impresa non basterà Luka
Ricolleghiamoci al primo punto: Golden State farà di tutto per far sì che Luka possa realizzare anche parecchi punti senza però riuscire a mettere in ritmo i compagni. Sfida ardua a dir poco pensando al sopraffino playmaking dello sloveno, ma dopotutto i Mavs hanno vinto una serie giusto qualche giorno fa proprio sfidando i role players avversari a prendersi più responsabilità.
L’ora della rinascita è quindi potenzialmente vicina per Jalen Brunson: l’ex Villanova, che aveva conosciuto i migliori momenti della carriera nella serie contro i Jazz, è tornato bruscamente sulla terra quando si è trovato di fronte la fisicità di Phoenix. Se c’è una serie in cui può ritrovarsi è proprio questa: l’assenza di Payton II, sulla carta perfetto per marcarlo, apre una voragine nel backcourt di Golden State. In più, nei minuti in cui Looney e Powell saranno in campo insieme Kerr ricorrerà probabilmente ad una difesa drop e Brunson quest’anno ha avuto momenti in cui ha segnato a comando dalla media distanza.
Jalen Brunson has been pretty good for Dallas this year. pic.twitter.com/sN1hABGAz8
— Steve Jones Jr. (@stevejones20) October 31, 2021
Un discorso simile verrà fatto per Dinwiddie, giocatore meno raffinato di Brunson ma che è decisamente più grosso di giocatori come Curry o Poole. Non so quale pozione magica Kidd e Kokoskov abbiano preparato per lui prima di Gara 7, ma spero si siano scritti la ricetta perché di colpo Spencer si è ricordato che se c’è lo spazio e se si è alti quasi due metri, attaccare il ferro non è una cattiva idea.
Ovviamente poi Finney-Smith, Bullock e Kleber dovranno tenere percentuali superiori al 35% da 3 punti, ma se così non fosse si potrebbe anche evitare di giocare questa serie, per cui trovo superfluo soffermarcisi. Il discorso di fondo è che tutti i giocatori non nati in Slovenia dovranno farsi trovare pronti fin dal primo minuto di Gara 1. Dopo quasi tre anni il pubblico generalista sta cominciando ad accorgersi che raccontare i Mavericks come “Luka Doncic e una banda di allegri turisti” è quantomeno riduttivo: non è decisamente questo il momento per fare un passo indietro.
Gara 1 contro i Suns è secondo me un perfetto esempio di come la Luka-ball portata all’estremo sia uno stile di gioco che garantisce un risultato minimo garantito ma che può spingersi solo fino ad un certo punto. I principi difensivi degli Warriors sono un po’ diversi, ma i ragazzi di Kerr sono un’altra difesa d’élite esattamente come quella appena sconfitta, se non superiore. Per Dallas è dunque il momento di decidere se iniziare a considerarsi una squadra da titolo o una squadra con un giocatore che può portarli al titolo. Differenza sottile, ma neanche troppo.
Pronostici
Davide: in linea con quanto detto, fatico a non veder i Warriors favoriti. Soprattutto se la forma tiene per i principali 8/9 di rotazione. Dallas potrebbe rischiar di sentirsi appagata nell’aver raggiunto il penultimo atto stagionale, e per quanto avvierà la serie con uno slancio deciso, potrebbe rifugiarsi mentalmente in questi pensieri dopo un paio di sconfitte. Che non è da escludere che arrivino – magari di misura – nelle prime due sfide del Chase Center.
Dovesse verificarsi una cosa simile, direi 4-1 Warriors e Mavs fuori con l’onore delle armi.
Ma se avessi dovuto esprimermi rispetto alle Conference Semifinals contro i Suns, avrei detto qualcosa di molto simile. Quindi non sarei stupito se dovessi stupirmi di nuovo, a questo punto.
Per cui, provando a lasciar perdere l’eccesso di sicurezza “drogato” dal già visto in anni precedenti (che contano zero alla luce dell’oggi), resto con Golden State, ma azzardo in sei sfide.
Enrico: Golden State parte con i favori del pronostico, togliamoci subito il dente. Per blasone, per storia recente, per esperienza ad alto livello e per roster. PERÒ.
Resto convinto che il miglior giocatore della serie, ad oggi, ce l’abbiano i Mavericks e che costui possa fare davvero molto male agli avversari. Più penso a questa serie dal punto di vista tattico e più cresce la mia fiducia per la banda di Kidd. I Warriors risponderanno a tono, ma la difesa dei texani è ai massimi storici, così come la loro fiducia. Se non stavolta, quando?
Per la prima volta da quando faccio parte di questa redazione mi lancio senza paracadute, ben felice di tornare eventualmente qui tra due settimane a riderci su tutti insieme: MAVS IN SIX.
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