Se all’inizio di questa stagione vi foste soffermati a leggere il roster dei San Antonio Spurs, avreste visto molti giovani, un paio di scommesse e qualche solido veterano. Osservando questo mix di giocatori sorgevano spontanee alcune domande: chi è la stella di questa squadra? Chi prenderà in mano l’attacco dei texani? Chi gestirà i possessi decisivi? La risposta a questi e altri quesiti è stata sempre la stessa da ottobre ad oggi: Dejounte Dashaun Murray.
Giunto ormai al quinto anno nella Lega, Murray si è visto consegnare le chiavi della squadra e, nemmeno a dirlo, non si è tirato indietro. Sebbene Dejounte avesse già in passato dimostrato di essere dotato di grande personalità e carisma, tradurre tutto ciò in termini di produzione sul campo non era affatto scontato.
L’aumento di volume e responsabilità si è tradotto in un incremento nella produzione offensiva, la prima convocazione all’All-Star Game e la definitiva consacrazione di Dejounte Murray a “stellina” della lega. Ma le luci della ribalta proiettano anche ombre più ingombranti, e per capire bene il tipo di giocatore che DJ è diventato bisogna analizzare entrambe.
Sale l’attacco…
Pur aumentando il volume offensivo Dejounte non ha cambiato la sua selezione di tiri, restando fedele alle soluzioni con le quali da sempre si trova più a suo agio. Se vi capitasse di guardare la sua mappa di tiro, infatti, salterebbe subito all’occhio come la shot diet di Murray sia composta in larga maggioranza da jumper dalla media. Ben il 52% dei tentativi della guardia texana provengono dalla zona di campo tra arco e pitturato, dimostrando quanto Murray si senta a suo agio da quelle mattonelle.
Avere una così grande fiducia nei propri mezzi e saperli sfruttare contro qualunque avversario è sicuramente uno dei punti di forza del nativo di Seattle. Durante questa stagione Dejounte ha espresso una costanza realizzativa notevole e che in pochi avrebbero saputo pronosticare al suo ingresso nella lega, mostrandosi un giocatore a tutto tondo ben più di quanto ci si potesse aspettare anche solo una stagione fa.
Dopo aver evidenziato la crescita come scorer, però, occorre anche soffermarsi sui limiti di un giocatore che, nonostante la grande crescita, continua ad avere difetti che limitano non poco il suo impatto sulle partite. L’elefante nella stanza è senza dubbio l’efficienza: con una true shooting percentage del 53% Dejounte si posiziona sotto la media della lega, facendo forse intuire che la sua produzione offensiva sia più un discorso di quantity-over-quality che un’effettiva trasformazione a scorer di alto livello.
L’ex Washington tira tanto e, vivendo praticamente nel midrange, è fisiologico prendersi tiri ad alto coefficiente di difficoltà e bassa produzione. Se a questo aggiungiamo che il tiro da fuori non è esattamente la specialità della casa (sono aumentati leggermente i tentativi ma la percentuale continua ad essere un poco incoraggiante 31%) e che si prende meno di quattro tiri liberi a gara, è facile vedere il perché dello scetticismo sul suo ruolo da primo violino.
Non stupisce nemmeno che gli Spurs siano tra le peggiori squadre della lega nei finali punto a punto e che fatichino tremendamente nell’attaccare a difesa schierata; se il tuo go-to-guy è uno scorer più di volume che di efficienza e non è in grado di portarsi a casa tiri liberi per lucrare punti a cronometro fermo, risulta particolarmente complesso uscire vivi da situazioni in cui ogni singolo possesso pesa come un macigno.
Oltre all’aumento di punti segnati, la voce “assist” nel tabellino di Murray è quella che ha più giovato dall’aumento di tocchi. Con ben nove assistenze di media, Dejounte è al quarto posto nella lega davanti a nomi del calibro di Luka Dončić, Darius Garland e Nikola Jokic, tutti passatori ben più celebrati del prodotto di Washington University.
Ora, prima che i fan dei sopracitati giocatori comincino ad organizzare spedizioni punitive in direzione Bologna, permettetemi di specificare l’ovvio, ovvero che Dejounte Murray non è un passatore migliore di Nikola Jokić. Detto ciò, una stagione con 9.3 assist e solamente 2.7 palle perse a gara resta un risultato al quale pochi giocatori nella lega possono ambire.
Arrivato in NBA come passatore tutt’altro che esaltante, Murray ha saputo negli anni rifinire questo fondamentale, riuscendo a diventare un assistman più ordinato di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Pur non essendo estremamente creativo con la palla in mano, ormai vederlo servire il rollante con i tempi giusti è praticamente una garanzia e compensa con la concretezza la poca spettacolarità dei suoi passaggi.
Per contestualizzare il tutto, va detto che la semplicità degli assist di Murray è dovuta anche ai principali destinatari dei suoi palloni: Jakob Pöltl e Keldon Johnson, infatti, sono due finalizzatori di buonissimo livello e ciò rende sicuramente la vita più facile a Murray che spesso deve solo limitarsi a un passaggio schiacciato eseguito con i tempi giusti per mettere i due punti in cassaforte.
…ma cala la difesa
Con l’aumento del carico offensivo, si sa, un calo di intensità sul proprio lato del campo è fisiologico. Quando si deve gestire l’attacco della propria squadra per ogni singolo possesso che si passa sul parquet è normale utilizzare la propria fase difensiva per “rifiatare”, magari concedendo qualcosina in più all’avversario rispetto a quanto non si sarebbe fatto anche solo una o due stagioni prima.
Dejounte Murray purtroppo non fa eccezione e il calo difensivo, soprattutto per un giocatore la cui difesa è da sempre il proprio biglietto da visita, è stato evidente. Certo le 2 rubate di media (primo nella lega) possono fare pensare il contrario, ma molto spesso le statistiche difensive possono essere fuorvianti e trarre in inganno.
Grazie alle braccia da pterodattilo Murray è, e probabilmente sempre sarà, una costante minaccia per i palleggiatori avversari; grazie ad agilità, tempismo da rapace e sfrontatezza non c’è pallone che non riesca a strappare dalle mani di chi ha di fronte, per poi lanciarsi in campo aperto col mezzo ghigno stampato sulla faccia di chi sa di avercela fatta un’altra volta. La sua grande abilità nel passare oltre i blocchi avversari e il suo irrefrenabile agonismo lo rendono un demonio in single coverage, dove accetta di buon grado qualsiasi accoppiamento, pronto ad ingabbiare chiunque gli venga messo davanti.
Come spesso succede, però, l’eccessiva foga può essere un’arma a doppio taglio e tramutarsi velocemente in un problema per la propria difesa; l’ossessiva ricerca della rubata, infatti, lo porta spesso a sbilanciarsi troppo, lasciando un buco nelle rotazioni che i compagni devono riuscire a coprire. La difesa di squadra è, appunto, una faccenda di squadra, e quando anche uno solo dei cinque in campo commette un errore anche minimo, gli altri devono faticare il doppio per metterci una pezza.
I San Antonio Spurs sono stati una difesa strana durante tutta la stagione: cattiva ma non terribile e composta da molti singoli difensori sopra la media che però, una volta messi insieme, non sono riusciti a creare una difesa di squadra altrettanto soddisfacente. Tornando a Murray, resta un difensore sugli esterni piuttosto valido ed esaltante, capace di sequenze elettrizzanti come quella che vi lascio qui sotto, godetevela.
✅ Dejounte steal
— NBA Top Shot (@nbatopshot) March 1, 2022
✅ Dejounte layup
✅ Dejounte block
What a sequence 🤯 #NBATopShotThis pic.twitter.com/qXwvxEqkJZ
Ormai l’avrete capito, i numeri della stagione di Dejounte sono importanti ma inflazionati dal contesto e non necessariamente tutti positivi. Difficilmente Murray sarà mai il primo violino di una squadra con serie ambizioni; tuttavia, è innegabile che questa sua versione sarebbe un buon secondo, o addirittura un ottimo terzo, da affiancare alla stella che inevitabilmente gli Spurs cercheranno di raggiungere negli anni a venire.
DJ ha più volte dichiarato il suo amore per San Antonio e gli Speroni che tanto hanno creduto in lui durante la prima fase della sua carriera: chissà quindi che quando in città arriverà un nuovo gallo nel pollaio, Murray non sappia ancora una volta dimostrare la sua leadership e voglia di vincere accettando di fare un passo indietro per avere la possibilità di riportare la franchigia agli antichi fasti.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo che raccontasse la crescita di Dejounte Murray, ho esitato ad accettare con entusiasmo. Non fraintendetemi, DJ mi piace: è carismatico, ha stile a tonnellate, grinta, una bella storia di riscatto alle spalle e soprattutto è il figlio prediletto del rebuilding degli Spurs, cominciato quando gli Speroni erano ancora una forza nella Lega ma già era chiaro a molti di come si trovassero alla fine di un’era.
Ho esitato a scrivere questo pezzo perché Murray è un giocatore con molte sfaccettature, di cui molte non necessariamente luminose. Personalmente sono stato spesso molto critico nei suoi confronti, cercando sempre di ridimensionare per quanto possibile la percezione che chi non guarda San Antonio ha di lui. In questo articolo mi sono trovato spesso ad elogiare una sua caratteristica per poi subito dopo evidenziarne il “lato oscuro”, cercando però di mantenere sempre l’equilibrio tra luce e ombra.
Non sta a me dire se sono riuscito nel mio intento, quel che è certo è che la crescita di Dejounte è comunque qualcosa di straordinario; dal South End di Seattle ai parquet NBA, dalla rottura del crociato alla convocazione per l’All-Star Game, la storia di Dejounte Murray è già adesso materiale da favola e ciononostante ho la sensazione che il bello debba ancora venire.
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