Sto guardando te, Coby White. Perché mai dovrei concentrare la mia attenzione sul membro meno chiacchierato della offseason dei Bulls? Forse non ci avevate fatto caso, ma insieme a LaVine, che pare però procedere ad ampie falcate verso un rinnovo a molti zeri, Coby è l’unico superstite del rebuilding messo in moto da Forman e Paxson scambiando Jimmy Butler. Dopo un periodo dichiaratamente di osservazione e analisi della situazione preesistente, in cui il botto di mercato era stato il giramondo Garrett Temple, la dirigenza guidata da Karnišovas e Eversley è giunta ad una conclusione molto semplice: fuck them kids.
Dalla trade deadline in poi i due si sono dedicati ad una minuziosa opera di smantellamento della squadra assemblata da GarPax, i cui singoli hanno tutte le potenzialità per ben figurare in altri contesti, ma la brutta tendenza ad imbarcare parziali da oltre venti punti di scarto. I parziali da oltre venti punti di scarto sono sostanza fortemente urticante per l’animo competitivo di Karnišovas, che – leggenda vuole – abbia chiuso l’accordo per la firma di Marc Eversley durante l’ultima puntata di The Last Dance perché era troppo gasato per aspettare l’appuntamento del mattino dopo. Mi pare quindi naturale che dopo tre mesi di suddetti parziali Karnišovas avesse visto abbastanza – per non scadere nel volgare – e, appena si è presentata l’occasione, è si è avventato su un All-Star come Nikola Vučević spedendo ad Orlando un paio di scelte oltre a Wendell Carter Jr..
Sennonché i Bulls hanno continuato a perdere con frequenza superiore a quanto auspicato: un po’ per mal assortimento del roster in conseguenza alla trade, un po’ per il ritmo serrato della scorsa che ha negato ad allenatori e giocatori il tempo in palestra necessario per trovare la quadra. Karnišovas ha però lo spirito granitico e indomabile di uno di quei testimonial di prodotti per l’igiene personale maschile, che sanno quello che vogliono e lo ottengono sempre dopo essersi teatralmente detersi e profumati; si presenta dunque risoluto e fragrante al via di una free agency di cui proverò a spiegarvi le dinamiche, nonostante io prediliga i silos di bagnoschiuma 2-in-1.
Un agosto di fuoco
L’arrivo di Vučević ha impostato una direzione chiara per la free agency di Chicago: basta accumulare giovani scommesse di belle speranze, è ora di tornare ai playoffs badando solo ed esclusivamente alle esigenze dettate dal campo. I Bulls avevano bisogno di buoni difensori perimetrali in quantità, di un playmaker – non per forza nel ruolo di PG! – in grado di creare gioco nell’attacco a metà campo e di comprimari versatili e capaci di portare un contributo senza togliere il pallone dalle mani degli All-Star ma capitalizzando sulla attenzione a loro riservata. Karnišovas ed Eversley sono andati a prendersi quello che volevano, senza esitare a spendere e sacrificare pedine di scambio e mostrando una notevole flessibilità nel mettere insieme i pezzi del puzzle. Io, invece, andrò in un rigido ordine cronologico.
Piccola digressione: il mercato dei Bulls è stato polarizzante, tanto da dividere tifosi e commentatori in due fazioni contrapposte, arbitrariamente Team Stolti e Team Saggi, il cui umore ha subito enormi oscillazioni nello spazio di poche ore. Questo rudimentale ma esplicativo grafico ne spiega l’andamento.
Lonzo Ball – 80M, 4A (2024-25 Player Option) – Sign&Trade (Satoransky, Temple, 2nd 2024)
Del primo colpo – annunciato alla mezzanotte italiana – si chiacchierava già dalla trade deadline, fatto che ha portato la lega ad aprire un’indagine per tampering sulle trattative con l’assistito di Klutch Sports, non ancora conclusa ma che potrebbe costare fino a dieci milioni a Reinsdorf e scelte al draft ai Bulls.
Lasciando ben sigillato questo vaso di Pandora, concentriamoci sulle questioni di campo: Lonzo è nominalmente una point guard ma non è in grado di gestire possessi a metà campo, ha un istinto naturale per il gioco ma non riesce a creare un vantaggio dal palleggio attaccando il ferro, è un eccellente difensore ma dà il meglio di sé partendo lontano dalla palla, è migliorato al tiro ma segna principalmente da tre in situazioni statiche sugli scarichi. Un giocatore che – di fatto – ha ricoperto il ruolo di classico esterno 3&D ai Pelicans, può essere l’uomo giusto per liberare LaVine dalle troppe mansioni di playmaking e gestire possessi pesanti a difesa schierata?
Torniamo a noi. La risposta alla domanda del paragrafo precedente è un grosso NO, cosa che ha fatto storcere il naso agli esponenti del Team Saggi, ma questo non significa che Lonzo, dichiaratamente desideroso di togliersi di dosso l’etichetta di 3&D, non possa contribuire alla causa in una miriade di modi: lanciando i compagni verso punti facili in contropiede, sfruttando le attenzioni difensive ricevute da Zach e Vooch e migliorando comunque la difesa perimetrale di Chicago con le sue lunghe braccia e il fiuto per il pallone. Un mattone molto utile in una squadra di buon livello, ma non la chiave di volta per fare il salto di qualità.
Alex Caruso – 37M, 4A (2024-25 garantiti 3M su 9,8M)
Sembrava destinato a rinnovare con i Lakers, poi si sono accorti che non è davvero vecchio ma solo calvo e i Bulls ne hanno approfittato per mettere a segno il colpo che ha iniziato a risollevare il morale della fazione detta Team Saggi. Difensore formidabile sul pallone, sempre pronto a fare il lavoro sporco, mai fuori posto in campo ma raramente sotto i riflettori, insospettabilmente atletico e rispettabile dalla lunga distanza anche se parsimonioso quasi all’eccesso nel prendersi i tiri. Potrebbe apparire come il doppione di Ball in uscita dalla panchina, ed in effetti hanno in comune il pregio di essere giocatori estremamente funzionali in un contesto vincente, ma ad uno sguardo più approfondito le loro caratteristiche vanno a inserirsi perfettamente in quelli che erano i buchi a livello tecnico dei Bulls.
L’idea chiara è quella di puntellare la difesa perimetrale per rendere più praticabile la drop coverage imposta dalla presenza di Vooch quando è direttamente coinvolto nell’azione, e più in generale garantendogli più tempo per piazzare il suo fisico possente in posizione di aiuto sotto canestro. Gli istinti e la velocità di pensiero di Lonzo si integrano perfettamente con la tenacia e la fisicità nella marcatura a uomo di Caruso, innalzando il livello difensivo sia nella difesa al point of attack che nelle susseguenti rotazioni.
Rimane però una questione alquanto spinosa: sono stati investiti 117 milioni per i prossimi quattro anni nel ruolo di point guard e i Bulls sono ancora senza un portatore di palla affidabile da affiancare a LaVine. Sfumato a questo punto il ritorno di Derrick Rose, il nome che pareva più indicato per risolvere questa problematica e che è stato davvero vicino alla firma, solo all’interno del Team Stolti rimane un certo grado di soddisfazione.
DeMar DeRozan – 82M, 3A – Sign&Trade (Young, Aminu, 1st 2025, 2nd 2022 da LAL, 2nd 2025)
Eccolo, il playmaker! Non nel classico ruolo di guardia, ma poco cambia la sostanza. Il californiano che tanto divide gli appassionati con l’affascinante anacronismo del suo gioco è la chiave di volta che va a chiudere anche gli ultimi punti deboli individuati da Karnišovas ed Eversley. Da sempre un maestro nell’arrivare al ferro per concludere con eleganza o ferocia a seconda dell’occasione, una macchina capace di generare una media di dieci liberi per cento possessi nell’arco della carriera e con una miriade di soluzioni dalla media a disposizione per trovare il fondo della retina a difesa schierata; da altrettanto tempo criticato per la riluttanza nel tirare da tre, per gli scarsi risultati quando decide di cimentarsi nel gesto tecnico e addirittura scaricato dopo otto anni dalla franchigia che lo aveva draftato con l’accusa – almeno parzialmente fondata – di sciogliersi ai playoffs.
Venire impacchettato e spedito a San Antonio si è rivelata una vera e propria benedizione per DeRozan dal punto di vista del miglioramento personale: arrivato con grossi limiti nelle letture dal palleggio e incline a forzare le tanto – troppo? – amate conclusioni dalla media, lascia il Texas dopo tre anni come uno dei migliori playmaker della lega, pronto a far valere la propria pericolosità in area e nelle zone limitrofe per coinvolgere i compagni e ottenendo in cambio di allentare la pressione su di sé nel momento in cui attacca uno contro uno.
La sua AST% è cresciuta fino al 32%, una decina di punti percentuali in più rispetto alla media delle annate da All-Star a Toronto, mentre gli assist per cento possessi hanno toccato quota dieci, praticamente il doppio degli anni da All-Star a Toronto, entrambi chiari segnali del fatto che c’è stata una svolta importante rispetto al DeRozan che eravamo abituati a vedere nella Eastern Conference. I numeri confermano anche il tornaconto individuale di questo evoluzione nel gioco di DeRozan, che pur rimanendo fedele a sé stesso abbandonando del tutto il tiro da tre, ha visto la propria TS% – non vedevo l’ora – raggiungere il 60% nelle ultime due stagioni. Il tutto mantenendo una usage rate intorno al 30% e una turnover rate sotto al 10%, dati saldamente oltre al novantesimo percentile all’interno della lega. Tutti dati che lo piazzano, almeno a livello offensivo, al pari o addirittura al di sopra di altri veterani ben pagati come Chris Paul e Jimmy Butler.
Un passo indietro
Facciamo un passo indietro, davvero, perché la free agency dei Bulls è un’opera che va osservata da lontano, nel suo insieme. Si poteva tirare qualcosa sugli stipendi dei tre nuovi arrivi? Certo, e penso soprattutto a DeRozan, non tanto per il valore del giocatore ma perché non c’erano altre squadre in grado di partecipare all’asta. Forse San Antonio, forse Miami, sicuramente le due losangeline ma con budget limitati. Lo stesso Ball ha un contratto importante per una point guard così atipica che non ha ancora calcato palcoscenici importanti a livello NBA, mentre Caruso passa dall’essere uno che ha strappato un posto in rotazione in una squadra da titolo ad essere una riserva lautamente retribuita per, come dire, i Bulls di questi ultimi anni.
Da sottolineare è anche il sacrificio in termini di scelte e giocatori per arrivare a DeRozan tramite sign&trade, una prima, due seconde e Thad Young, uno dei migliori nella scorsa travagliata stagione; per arrivare a Ball sono bastati Satoransky, Temple e una seconda scelta, ma il conto potrebbe rivelarsi più salato una volta terminata l’indagine per tampering.
Presi singolarmente i tre affari e i tre giocatori ottenuti hanno evidenti difetti, ma è la somma delle parti che sembra avere un’armonia figlia della logica che ha guidato le scelte di mercato, armonia che sarà compito del coaching staff tramutare da teorica a pratica. Finalmente Chicago ha un piano che non sia aspettare che un giovane salvatore della patria arrivi dal draft; finalmente il front office ha analizzato cosa mancava con lucidità e individuato i profili che potessero far migliorare la squadra in quelle aree; finalmente si è puntato forte su questi giocatori, credendo fino in fondo nella bontà delle proprie scelte; finalmente… ma che fine ha fatto Lauri Markkanen?
Il silenzioso scandinavo puntava dichiaratamente a un rinnovo sostanzioso e ad un nuovo inizio in un’altra città, con garanzie di minutaggio e centralità nella squadra. Karnišovas chiedeva in cambio una prima scelta, oltre ad un giocatore in scadenza e possibilmente utile alla causa; non una richiesta eccessiva, anzi, se si pensa al potenziale del giocatore, ma visto il mercato ormai saturo e il rendimento deludente dell’ultima stagione, il rischio di dover svendere era concreto. Lauri deve aver scelto il bagnoschiuma sbagliato, perché è finito a Cleveland – sigh – in uno scambio a tre in cui Portland ha ricevuto Nance Jr. e Chicago una prima scelta 2023 dai Blazers e Derrick Jones Jr. con contratto in scadenza. Questione di fragranza.
Qui trovate i link per le due puntate di Ciance da Chicago sulla free agency:
– Botti Estivi (8/08)
– Vacanze a Cleveland (5/09)
Lascia un Commento
Mostra i commenti