Dopo una caldissima estate è arrivato settembre, un mese che ci sta dando un primo assaggio autunnale carico di malinconia che ben si sposa con il rientro dalle ferie, la ripresa del lavoro e della routine.
Allo stesso modo oltreoceano l’offseason NBA ha superato il suo periodo più caldo: il draft, la Summer League e i primi giorni della free agency sono alle spalle e, a meno di grandi scossoni derivati da trade improvvise durante i training camp, ora la Lega si addentrerà in mesi piuttosto quieti, con gli occhi già puntati al 19 ottobre, data di inizio della stagione 2022.
Il grosso delle trattative è dunque archiviato, ma come ogni anno il mercato NBA si fermerà solo dopo gli ultimi frenetici scambi alla trade deadline e le franchigie avranno la possibilità di firmare free agent fino a primavera.
Parlando proprio dei free agent, a questo punto dell’estate, il mercato degli svincolati non offre più giocatori di alto livello, ma vi si possono trovare ancora diversi giocatori in grado di dare un contributo significativo ad una squadra, che siano veterani all’ultima corsa o giovani di buone prospettive.
Se la rotazione della vostra squadra non è perfetta dunque non è ancora il caso disperarsi, c’è tempo per recuperare. In questo articolo ho raccolto quelli che a mio parere sono i giocatori più interessanti a non aver ancora firmato un contratto, 4 role player da non lasciarsi sfuggire.
Frank Ntilikina
Al draft 2017, l’allora “President of basketball operation” dei New York Knicks, Phil Jackson tentò di replicare il successo avuto due anni prima con la chiamata di Porziņģis, selezionando all’ottava scelta assoluta un giocatore europeo, con un cognome difficile da pronunciare e un’apertura alare infinita. L’intenzione era di farne la point guard titolare del futuro della franchigia.
A quattro anni da distanza il contratto da rookie di Frank Ntilikina è scaduto e ad oggi non è certo che ne abbia meritato un secondo. Il perché è presto detto: da quando ha messo piede nella Grande Mela il francese non è migliorato in nessun aspetto del gioco, rimanendo un prospetto molto grezzo che su un campo da basket sa effettivamente fare poco. Nei primi tre anni di carriera il contesto turbolento dei Knicks e le grandi aspettative che gravitano costantemente intorno alla squadra non hanno aiutato il percorso di sviluppo del giocatore, mentre la scorsa stagione coach Thibodeau ha chiesto al alla guardia di creare gioco palla in mano, in assoluto l’aspetto più deficitario di “Frankie Smokes”. Non c’è quindi da sorprendersi che abbia giocato solamente 300 minuti in tutta la stagione.
Ntilikina offensivamente è molto distante dalla definizione classica di point guard e ad oggi sembra impossibile che possa guidare un attacco, anche partendo dalla panchina. Frank non riesce a creare separazione o a battere il suo uomo dal palleggio: solo 3 dei 79 tiri presi in stagione sono arrivati al ferro, 9 totali allargando ai tentativi nei 3 metri. Questo inficia pesantemente le sue doti da scorer e di conseguenza diretta da creatore di gioco, limitandolo ad un ruolo di spot up shooter. I pochi tiri dal palleggio sono arrivati principalmente dal midrange riscuotendo risultati molto negativi, mentre in questa stagione ha tirato bene da 3 punti (23/48 in totale, di cui 26 tentativi con almeno due metri di spazio), ma il campione è talmente piccolo da non essere un dato realmente significativo.
Perché un giocatore del genere è in questa lista allora?
Innanzi tutto Ntlikina è un difensore sulla palla di altissimo livello, molto mobile e molto lungo per il ruolo ed allo stesso tempo è un difensore di squadra solido, con potenziale da difensore in aiuto molto alto per essere una guardia, soprattutto grazie alla wingspan di 216 centimetri.
In attacco rimane un giocatore piuttosto intelligente che pur non essendo in grado di generare vantaggio è in grado di mantenerlo, ha buone letture e sa eseguire un extrapass. Nel caso in cui il tiro fosse solo un fuoco di paglia il suo miglior utilizzo offensivo potrebbe essere simile a quello di un’altra guardia atipica come Bruce Brown, specialista difensivo dei Nets, sfruttato da Nash da bloccante e sullo short roll.
In questa situazione Frank dovrebbe solo mantenere il vantaggio creato dal compagno leggendo la reazione della difesa. Un compito assolutamente alla sua portata, anche se per essere credibile dovrebbe iniziare a concludere con più costanza al ferro ed aumentare la sua massa muscolare.
Negli ultimi giorni si sono mostrate interessate alla guardia Lakers e Raptors, due franchigie che potrebbero fare bene a Ntilikina: i primi in questa offseason hanno perso la componente distintiva di difesa “PoA” con le partenze di Caruso, KCP e Schoeder; avrebbero sicuramente bisogno della sua abilità da difensore. Con uno tra Lebron e Westbrook sempre in campo non dovrebbe mai creare palla in mano e limitarsi ad un ruolo di specialista difensivo. Se il tiro dovesse entrare con percentuali vicine alla media potrebbe rivelarsi un energy guy da 10-15 minuti a notte, spendibile sulle migliori guardie avversarie durante l’estenuante cavalcata playoff che i losangelini dovranno affrontare nel selvaggio West.
I Raptors invece sono famosi per rendere degli specialisti difensivi offensivamente utili, in particolare il player development staff di Toronto sarebbe una manna dal cielo per il jumpshot del francese. In Canada Ntilikina potrebbe diventare un “3&D” di notevole livello, rilanciando così la sua carriera.
Paul Millsap
Paul Millsap è indubbiamente il miglior giocatore ancora disponibile per le franchigie che tenteranno di competere nella prossima stagione. Probabilmente l’unico motivo per cui nessuno ha ancora puntato su di lui è che a breve spegnerà 37 candeline.
Il chilometraggio NBA di Millsap è pesante e non si può negare che il giocatore arrivato a Denver nel 2017 e quello visto nell’ultima stagione siano solamente lontani parenti. Anziché rinnovarlo i Nuggets hanno preferito puntare su Jeff Green, decisione che la dice lunga sul decadimento del veterano, ma è quantomeno strano che nessun’altra squadra abbia ancora deciso di accogliere un professionista di questo calibro.
Paul difatti rimane molto affidabile e in questa stagione ha giocato titolare in una contender senza sfigurare fino alla trade deadline. L’approdo di Aaron Gordon a Mile High City ha fatto sì che Millsap uscisse per la prima volta dalla panchina da più di un decennio, mostrandoci la copertina di quelli che potrebbero essere gli ultimi anni della sua onorata carriera.
La mobilità ridotta dall’età e una condizione fisica non al meglio a causa dei problemi avuti al ginocchio destro lo hanno reso più uno small 5 che un “4” nella NBA moderna, troppo lento per tenere costantemente ali sempre più atletiche e troppo piccolo per rivaleggiare contro i centri titolari. Denver lo ha sfruttato come 5 tattico in combinazione ad altre ali con stazza e wingspan elevati quali JaMychal Green, Michael Porter JR o Aaron Gordon, ottenendo buoni risultati.
In questo ruolo Millsap dà la possibilità di avere una lineup con cinque giocatori capaci di cambiare difensivamente su più ruoli, mettere palla a terra e spaziare il campo: 34.5% da 3 punti in stagione (41% nelle 26 partite pre-infortunio), prendendo più di un terzo dei suoi tiri da oltre l’arco.
Paul inoltre sa fare una buona lettura, portare blocchi, comunicare. In sostanza è ancora un ottimo veterano.
A discapito di tabellini piuttosto vuoti, raramente il suo apporto è negativo, personalmente sono convinto che Millsap con esperienza e versatilità possa essere un buon ottavo uomo in una squadra da playoff che punta a fare una corsa profonda.
Le franchigie che potrebbero essere interessate al veterano sono diverse, su tutte nelle ultime settimane sono usciti rumors riguardo a Warriors e Nets, contender sempre pronte ad aggiungere talento alla loro causa.
Nel caso in cui giocare per l’anello non dovesse rivelarsi la priorità di Millsap il giocatore potrebbe essere ambito anche tra i team in ricostruzione, per i quali offrire qualche milione extra rispetto alle contender potrebbe non essere un problema.
Qualunque sarà la sua scelta di certo non rimarrà disponibile ancora a lungo.
Wesley Matthews
Secondo veterano che incontriamo in questa lista, Wes Matthews arriva da una dodicesima stagione NBA non propriamente brillante. Scaduto quello che ormai possiamo considerare l’ultimo contratto ricco della sua carriera, nel 2019 Wesley decide di puntare all’anello ed entra nel “circolo dei minimi”, firmando per l’appunto al minimo salariale con i Milwaukee Bucks. Nella bolla di Orlando i sogni di gloria di Matthews si sono fermati solamente al secondo turno, così la scorsa offseason ha deciso di portare i suoi talenti a Los Angeles, sponda Lakers.
Ad LA Matthews non ha rispettato le aspettative: arrivato per chiudere le partite andando a completare il quintetto piccolo dei gialloviola assieme a Schroeder, KCP, LeBron e Davis si è ritrovato spesso seduto in panchina o ad interpretare un ruolo molto marginale.
Il veterano non è mai sembrato pienamente entrato nei meccanismi della squadra e il suo gioco offensivo ormai è piuttosto limitato. In attacco si limita quasi esclusivamente a spaziarsi dietro l’arco ed aspettare lo scarico per la conclusione: il 78 % dei suoi tiri sono stati da 3 punti e l’87% di questi tentativi è arrivato in situazioni di Catch&Shoot.
In difesa resta un difensore sulla palla sopra la media nonostante sia prossimo ai 35, ma non è un difensore di squadra di prim’ordine.
🔒Wes Matthews on defense, appreciation thread. pic.twitter.com/KN1hPAEaED
— Andrea Poggi (@AndreaPoggi14) November 29, 2020
Wes rispetta dunque i canoni del “3&D” puro, eppure c’è un problema.
La percentuale dalla lunga distanza di Matthews è costantemente calata nelle ultime stagioni. A Los Angeles ha terminato l’annata con meno del 34% da 3, concludendo malissimo in ogni situazione nella quale non avesse diversi metri di spazio. Il fatto di essere regredito in uno dei due aspetti del gioco che lo definisce sta sicuramente inficiando le sue quotazioni, tuttavia l’esperienza e la grande foga nella difesa sulla palla potrebbero valergli una decina di minuti a notte. Nel caso in cui le percentuali ondivaghe al tiro pesante tornassero ad essere in linea con il resto della carriera (38%), potrebbe essere ancora un solido ottavo/ nono uomo ai playoff.
È probabile che accetti nuovamente il minimo, ma al momento non ci sono ancora indicatori di dove potrebbe accasarsi. Nel suo caso non è scontata una firma prima dell’inizio della stagione: il veterano potrebbe anche aspettare che le gerarchie tra le contender siano più chiare o, che a causa di infortuni, qualche squadra si dovesse ritrovare con un buco nella rotazione, per poi inserirsi nel contesto migliore possibile per il proseguo della sua carriera.
Jarred Vanderbilt
Scelto da Orlando con la 41esima chiamata del draft 2018, Jarred Vanderbilt è un nome ancora piuttosto sconosciuto, che solo da poco ha iniziato a suscitare l’interesse dei tifosi.
Dopo essere sceso in campo per un totale di 115 minuti nelle prime due stagioni della sua carriera, lo scorso anno l’ala ha trovato spazio a Minneapolis, giocando 18 minuti di media a partita e partendo titolare in 30 occasioni.
205 centimetri per 100 kg scarsi e circa 215 centimetri di wingspan, Vanderbilt è un profilo fisico e atletico molto interessante. Con un passato nell’atletica leggera ha una rapidità “nord-sud” degna di un velociraptor, caratteristica che lo rende quasi incontenibile in campo aperto. Allo stesso tempo è un buon atleta anche verticalmente, in grado di giocare sopra il ferro ed essere un discreto lob threat quando utilizzato da rollante.
La specialità della casa in attacco è il rimbalzo offensivo: con 1.8 catturati nei 18 minuti di impiego si trova nella top 20 della lega per offensive rebound% e rimbalzi offensivi su 100 possessi. Oltre ai rimbalzi e qualche lob convertita in poderose schiacciate l’impatto offensivo di Jarred a difesa schierata è nullo o addirittura negativo. Il ragazzo non offre alcun tipo di spacing e non può creare palla in mano, si limita ad aspettare la palla nel dunker spot, lottando per la posizione a rimbalzo. I limiti offensivi e il fisico ancora troppo esile lo rendono un prospetto difficile su cui costruire: difensivamente ha bisogno di essere affiancato da un centro di peso che allo stesso tempo possa allargare il campo. KAT, essendo un tiratore mortifero, in questo senso sembra essere il fit ideale per lui.
Dove Vanderbilt brilla è in difesa, capace di cambiare su più ruoli soffre solo guardie iperesplosive e centri molto pesanti; altrimenti la combinazione di stazza, rapidità, ed intensità lo rendono un cliente scomodo per chiunque. Per quanto non comprenda ancora bene il gioco (e in questo senso è importante ricordare che questa è stata sostanzialmente la sua rookie season) in aiuto al ferro e sulle linee di passaggio è stato molto attivo, mettendo in mostra la possibilità di convertire direttamente la palla recuperata in facili canestri in transizione. In campo aperto ha mostrato qualche flash da passatore, soprattutto in G League.
Insomma, il profilo è ancora grezzo ma interessante. Al momento Jarred è restricted free agent e Minnesota può pareggiare ogni offerta proveniente da altre squadre per tenere il giocatore. Vista la carestia nello spot di ala grande Minnesota ha tutto l’interesse a rifirmarlo, ma per non pagare la luxury tax può offrire a Vanderbilt non più di 6 milioni l’anno, cifra tutto sommato equa per l’apporto odierno del giocatore. Non è chiaro se sia la franchigia a puntare al ribasso o se il ragazzo a pensare di valere un contratto più remunerativo, ma ad oggi l’accordo non è ancora stato trovato. Poche squadre possono offrire più del minimo, non è detto che sul libero mercato possa trovare un’offerta migliore.
Un’altra possibilità è che Vanderbilt scommetta su stesso e decida di accettare la qualifyng offer, offerta annuale molto bassa, ma che gli permetterà di essere unrestricted free agent il prossimo anno. In questo modo Jarred avrebbe un’altra stagione per mettersi in mostra a Minnesota, per poi cercare il contratto più remunerativo possibile nella Free agency 2022.
L’ipotesi più probabile rimane comunque la rifirma con Minnesota: Vanderbilt sembra essersi legato allo young core dei Timberwolves ed era con i compagni a tifare per i giovanissimi della rosa alla Summer League di Las Vegas. Anche in ottica di un possibile scambio per Ben Simmons sarebbe nell’interesse della franchigia avere ogni asset disponibile da inserire nel pacchetto per l’australiano. Vedremo quale sarà la scelta del giocatore, le ultime nuove danno un ritorno a Minneapolis sempre più vicino.
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