Quelli di quest’anno sono stati i Playoff di Paul George. Non lo erano ormai dal 2014, quando diede battaglia ai Miami Heat di LeBron James nelle Eastern Conference Finals. Soprattutto a livello di immagine del giocatore e del brand PG-13, erano anni che il nativo di Palmdale non usciva così bene da una postseason.
Non viene ricordata con particolare entusiasmo la serie da 27-8-4-3 nel 2016 contro Toronto, a poco più di un anno di distanza da quel terribile infortunio sofferto con la maglia del Team USA; mentre i successivi Playoff non solo non vengono ricordati con entusiasmo, ma hanno dato adito alle innumerevoli critiche e pernacchie che hanno costruito una delle narrative più tossiche attorno a un cestista di questo decennio. Intendiamoci: Paul George non ha improvvisamente disimparato a giocare, ma ha spesso alternato grandi partite a prestazioni in cui ha dato l’idea di sparire dalla gara. Ne è un esempio il primo turno del 2018 contro gli Utah Jazz, in cui gli estremi di George hanno avuto del surreale: tre partite da 36, 32 e 34 punti (l’ultima, peraltro, per riaprire la serie sotto 3-1), fatte precipitare nell’oblio dalla gara 6 da 5 punti.
Anche nelle serie degli ultimi anni in cui- tutto sommato- male non ha fatto, come la serie del 2019 contro Portland conclusa a circa 29-9-4, l’opinione pubblica non ha esitato a scagliarsi contro di lui, rinfacciandogli anche le uscite infelici nel post-partita (“that’s a bad shot“).
Nelle ultime stagioni non hanno aiutato le tante operazioni a cui si è dovuto sottoporre per curarsi dal ricorrente infortunio subito in corso d’opera, e sicuramento non ha aiutato l’aver rifiutato da Free Agent la squadra più tifata al mondo.
Di fatto, Paul George è stato fino all’altro ieri uno dei giocatori più odiati (e per questo motivo anche sottovalutato) della lega, e che per un motivo o per l’altro ha dato un apporto incostante negli ultimi anni.
Con queste premesse, ecco che arriviamo ai Playoff 2020-21. Per dare un’idea della grandezza della sua postseason, alcuni numeri all’indomani di Gara 3 tra Suns e Bucks: George è tuttora 1° per punti segnati, tiri liberi e minuti; 2° per triple segnate; 3° per tiri segnati; 4° per rimbalzi e 5° per assist. Almeno venti punti segnati in tutte e 19 le gare Playoff dei suoi Clippers, rispondendo sempre presente dal punto di vista realizzativo, quello che nelle serie passate era stato spesso il suo tallone d’Achille.
Come spesso accade nelle storie di redenzione di un antieroe, Paul George ha dovuto superare diversi ostacoli per (ri)guadagnare il rispetto del vulgus NBA:
G3 @ DALLAS MAVERICKS
I Clippers sono sotto 2-0. La squadra di Luka Dončić ha vinto le prime due partite allo Staples grazie al talento generazionale dello sloveno, certo, ma anche- e soprattutto- grazie alle incredibili performance al tiro di squadra: dopo due gare i Mavs stanno tirando col 50% esatto dal perimetro (17/36 in G1 e 18/34 in G2). Improvvisamente Luka tira in step-back con le percentuali di Steph Curry, mentre Tim Hardaway Jr incute la stessa paura nelle difese avversarie del Ray Allen dei tempi d’oro.
Come da tradizione per i Clippers e PG, iniziano a volare meme e provocazioni su Twitter. C’è chi ancora è risentito con Kawhi per aver scelto i Clippers e si interroga sulla prossima meta dell’ex Finals MVP; chi sceglie l’usato garantito “Playoff-P” e “PG-13%”; chi invece non perde occasione per insultare Ty Lue, l’uomo che ha avuto la sfortuna di vincere un titolo allenando LeBron James.
Qualcuno prova pure a fare revisionismo riguardo agli eventi della bolla di Orlando (a posteriori, con poco successo).
La situazione è talmente critica che i tifosi Warriors iniziano a discutere- seriamente- se valga la pena scambiare Andrew Wiggins per Paul George.
Gara 3 inizia, ed è chiaro fin dalle prime azioni che non è questa la notte in cui ci sarà una regressione verso la media delle percentuali al tiro di Dallas. A suon di step-back e triple dal palleggio i Mavs vanno prima sull’11-0, poi sul 30-11 con ancora 5 minuti del primo quarto da giocare. L’American Airlines Center è una bolgia: alla prima partita Playoff giocata in questa arena dai Mavs del titolo 2011, la squadra di casa sembra vicinissima al passaggio del turno contro i Clippers di Leonard e George.
Ed è in questo momento che vediamo, per la prima volta in questi Playoff, la vera faccia di PG e i Clippers 2020-21.
George inizia ad attaccare a testa bassa, raggiungendo l’area a ogni azione e caricandosi la squadra sulle spalle. Non importa chi abbia davanti: i difensori dei Mavs vengono trattati come se fossero dei coni segnaletici.
La rim protection della difesa avversaria è assolutamente mediocre, per cui superata la prima linea difensiva i Mavs non offrono resistenza.
George e Leonard bucano talmente frequentemente la difesa da costringere Rick Carlisle alla zona 2-3 con Porziņģis e Marjanović per il resto della serie: la mossa della disperazione di chi preferisce concedere una tripla aperta a una squadra che ha concluso la Regular Season con il 41% rispetto all’80% abbondante concesso alle due superstar losangeline al ferro.
E quando Dallas inizia a esagerare negli aiuti sulle sue penetrazioni, PG trova benissimo i compagni con spazio sul perimetro.
I Clippers recuperano così i Mavs, chiudendo il primo tempo in vantaggio 63-59 grazie a un primo tempo spettacolare del loro duo: 18 punti con 9 tiri per Leonard; 22 con 13 per PG.
Nel secondo tempo si accende finalmente anche Morris, e il pick and roll small-small tra Leonard e Rondo nel 4/4 chiude definitivamente la partita, mandando la serie sul 2-1.
Paul George termina la sua grande partita con 29 punti, 7 rimbalzi e 4 assist, a fronte di una sola palla persa.
Il giornalista di ESPN Zach Lowe ha passato tutto l’anno a dire una cosa molto intelligente: “Che effetto avrà su di loro quanto accaduto nella bolla di Orlando? Come reagiranno alla prima vera difficoltà?”; domande più che lecite a cui i Clippers hanno risposto in maniera eccellente. Con Paul George a suonare la carica, da giocatore con l’anima da gladiatore, totale e di squadra quale è.
G5 @ UTAH JAZZ
Archiviata gara 7 contro Dallas, i Clippers sono chiamati a presentarsi a Salt Lake City dopo meno di 36 ore per l’inizio della serie contro Utah. LAC va di nuovo sotto 2-0 dopo le prime due partite, e di nuovo arriva la reazione della squadra, con le due stelle sugli scudi: PG e Kawhi combinano per più di 60 punti in entrambe le gare, che i Clippers vincono con un differenziale complessivo di +40. I Jazz allo Staples non riescono più a tamponare la gravosa assenza di Mike Conley, ma nessun difensore perimetrale dà l’idea di poter contenere gli attaccanti 1vs1 dei Clippers.
Proprio quando tutti i tasselli del puzzle sembrano essersi incastrati alla perfezione per la squadra di Lue, ecco che arriva la tegola: infortunio al ginocchio per Kawhi Leonard. Si teme un problema serio al crociato anteriore, ma non vengono fuori i dettagli. Ciò che è certo è che i Clippers giocheranno da qui in poi senza il loro miglior giocatore, che fino a quel punto dei Playoff era un buon candidato per essere l’MVP della postseason.
La squadra è ora nelle mani di Paul George, questa volta con i pronostici a sfavore. Perfino l’esperto che segue i Jazz per True Shooting, Alexandros Moussas, ospite da Fun Guys Podcast si sbilancia prima di gara 5 e pronostica un 4-2 per i Jazz lottando ferocemente col suo pessimismo.
Proprio a Salt Lake City, l’arena della vituperata gara 6 tra OKC e i Jazz in cui PG segnò 5 punti; davanti ai tifosi mormoni che nelle prime due gare gli avevano dedicato qualsiasi tipo di coro, Paul George risponde con una delle sue migliori partite in carriera.
George chiude gara 5 con 37 punti (12-22 al tiro), 16 rimbalzi, 5 assist e 3 stock. I 16 rimbalzi sono degni di nota almeno quanto i 37 punti: con il quintetto piccolo a battagliare sotto i tabelloni per la seconda serie consecutiva contro un centro di 7 piedi, ogni singolo rimbalzo difensivo è una conquista.
La sua gara è leggendaria, e arriva nel momento più disperato per la sua squadra. La vittoria in gara 5 porta a una sola vittoria di distanza dalle prime WCF della storia della franchigia.
G5 @ PHOENIX SUNS
Ancora una volta, il desiderio dell’NBA di sfruttare il matinée domenicale va a scapito dei Clippers, che nuovamente devono giocare gara 1 a 36 ore di distanza dalla partita precedente. La differenza di energie è enorme: per tutto il mese di giugno i Clippers hanno giocato una partita ogni due giorni, con un solo giorno di riposo tra l’una e l’altra. Gara 1, 2 e 4 sono tirate, ma nei finali la fatica si fa sempre sentire e i Suns hanno la meglio.
La serie non è delle migliori: da una parte c’è una squadra stanca, infortunata e che continua a perdere pezzi lungo la strada (Morris e Batum hanno dei problemi fisici che ne limitano la mobilità e il minutaggio; Zubac, l’ironman dei Clippers che fino a quel punto non aveva saltato una singola gara per LA si fa male in G4 e raggiunge Kawhi e Ibaka in infermeria); dall’altra ci sono dei Suns che peccano di inesperienza e cadono nelle trappole dei Clippers. Le partite sono giocate a ritmi bassissimi, si sbaglia tanto, e la squadra di Lue riesce a portarla sul proprio campo di battaglia grazie alle provocazioni e uno stile di gioco estremamente fisico.
Si torna a Phoenix per gara 5 sul 3-1. I Clippers non hanno mai dato l’idea di venire sopraffatti, ma le cartucce sembrano essere finite. Tutte le leve che avevano a disposizione sembrano averle sfruttate, mentre Phoenix ha ancora molti margini per fare meglio. Nella partita della disperazione per eccellenza, Paul George supera quanto fatto appena 12 giorni prima e gioca probabilmente la sua miglior partita in carriera.
Per la terza serie consecutiva, appena trova un minimo di energia nelle gambe non sembra esserci un difensore in grado di contenerlo. Crowder è troppo lento, Bridges soffre la differenza di tonnellaggio. Il lavoro migliore su di lui lo fa forse Craig, che però non può stare molto in campo per altri motivi.
Nel primo tempo George segna soltanto 11 punti, ma è un buon segnale per i Clippers che finalmente ritrovano parzialmente Marcus Morris dall’infortunio al ginocchio (20 punti nel primo tempo) e le incursioni di Reggie (14).
PG segna 30 punti nel secondo tempo, a partire dal momento più critico della partita: il primo sorpasso Suns (dal -15 al +1), a cui PG risponde battendo dal palleggio Crowder e segnando col fallo.
I 41 punti (15-20 al tiro) in gara 5 sono il massimo in carriera ai Playoff, ma la partita di PG è eccezionale a 360°, ancora una volta: per lui anche 13 rimbalzi, 6 assist e 3 palle rubate. L’on/off di Paul George racconta di una serie in cui i Clippers se la sono ampiamente giocata fino a quando hanno avuto il nativo di Palmdale in campo (+1.9 di net rating), affondando però nei suoi minuti di riposo (-26.7).
I Clippers hanno poi finito definitivamente la benzina nel secondo tempo di gara 6, e una performance da HOF di Chris Paul li ha eliminati dai Playoff. Ma ciò non toglie una virgola di merito alla prestazione del fenomeno con la maglia numero 13, che ancora una volta in questi Playoff ha dato il 101% per la sua squadra.
Se da una parte il rammarico per l’occasione sfumata è tanto, in una stagione in cui i Clippers avevano dimostrato di avere tutte le carte in regola per vincere il titolo fino all’infortunio di Kawhi, dall’altra tutto l’ambiente cestistico può finalmente guardare con orgoglio Paul George che a 7 anni da quell’infortunio terribile ha disputato i suoi migliori Playoff in carriera (davvero, andatelo a rivedere e poi pensate a come è riuscito a rialzarsi).
E, magari, smettere di chiamarlo con i soprannomi più stupidi che il genere umano abbia concepito. Non è più “Playoff P”, “Wayoff P” o “PG-13%”; lui è Paul George, il futuro Hall of Famer e uno dei giocatori più talentuosi di sempre. Si è meritato il vostro rispetto, non siate timidi.
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