Prossimi alla fine della corsa Playoff più imprevedibile di sempre, è tempo di dare credito a quei giocatori che, complici i numerosissimi infortuni avvenuti durante la post season 2021, hanno visto incrementare il loro utilizzo risultando determinanti per le loro squadre nonostante le aspettative su di loro fossero minime. Difatti tutti i giocatori di questo particolare quartetto sono accomunati dalla medesima caratteristica: hanno preso il minimo salariale in questa stagione.
Le motivazioni per accettare un contratto così basso sono molteplici: in alcuni casi i giocatori compiono questa scelta per poter competere per il titolo o per avvicinarsi a casa, per i meno dotati, invece, spesso è l’unica opzione possibile per rimanere nella lega. Di conseguenza le storie di questi atleti sono molto eterogenee fra loro, quindi senza ulteriori indugi andiamo a scoprire i percorsi dei quattro giocatori al minimo più impattanti di questi playoff.
Cameron Payne
La prima menzione non può che essere per Cameron Payne. Scelto da Oklahoma City con l’ultima chiamata della lottery 2015, la speranza della dirigenza era quella di aver trovato una buona riserva per Westbrook, ma così non è andata.
Nella sua prima stagione nella lega Cam è troppo acerbo e arrivati ai playoff sparisce velocemente dalle rotazioni di Donovan. L’anno seguente, a causa di un infortunio, salta buona parte della prima metà della stagione e Presti, alla disperata ricerca di tiratori dopo la partenza di Durant, non si fa troppi problemi a spedirlo ai Bulls in cambio di Doug McDermott.
L’esperienza a Chicago è tutt’altro che memorabile: dopo più di due anni in cui è sceso in campo solamente in 67 occasioni, la franchigia dell’Illinois lo taglia. Successivamente ha un’altra breve parentesi a Cleveland dove non convince; dopodiché non gli resta che firmare per gli Shanxi Loongs, squadra della massima serie cinese.
A questo punto la strada di Payne sembrava segnata e le possibilità di un futuro in NBA sostanzialmente inesistenti. Con umiltà il prodotto di Murray State è ripartito dalla G-League e, poco prima della bolla, i Phoenix Suns gli hanno dato l’opportunità di tornare al piano superiore. Cameron ha sfruttato al massimo questa seconda chance e, grazie alle sue doti da scorer in uscita dalla panchina, è stato un pezzo importante dei Suns imbattuti nei seeding games di Orlando.
Ai nastri di partenza di questa stagione Monty Williams ha dato fin da subito fiducia a Payne, fiducia ripagata con prestazioni valide che hanno permesso al coach di far rifiatare il veterano Paul senza preoccupazioni. Le medie stagionali sono di 8.4 punti e 3.6 assist in 18 minuti di utilizzo, con una true shooting superiore al 60% ed un ottimo rapporto assist-palle perse.
Nonostante la buona stagione regolare, rimanevano dubbi riguardo il suo impiego ai playoff: si temeva che la maggiore fisicità delle partite avrebbe potuto mettere in difficoltà la point guard, ma Cam ha nuovamente risposto presente, rivelandosi un giocatore da rotazione anche in post season.
Il carattere di questo ragazzo è emerso definitivamente nel momento del massimo bisogno per i Suns quando, prima per la contusione alla spalla destra, poi per la positività al Covid-19, Chris Paul non è stato disponibile a giocare o fortemente limitato in campo. In queste partite Payne ha superato i 25 minuti sul parquet, registrando più di 15 punti e 7 assist di media, produzione assolutamente inaspettata a questi livelli, soprattutto considerando che tali prestazioni sono avvenute contro ottime difese quali quelle dei Lakers e dei Clippers.
La corsa playoff di Cameron ha toccato l’apice in gara 2 delle Western Conference Finals, partita nella quale ha segnato 29 punti e distribuito 9 assist a fronte di una sola palla persa, regalando anche qualche giocata difensiva degna di nota, non sempre la specialità della casa.
Queste prestazioni non solo hanno aiutato i Phoenix Suns a raggiungere le finali NBA dopo quasi trent’anni di assenza, ma aiuteranno anche le tasche di Payne in estate. Il biennale al minimo firmato prima della bolla scadrà a fine stagione e non è chiaro a quanto potrebbe aspirare. Considerando che la free agency 2021 è particolarmente scarna, è probabile che possa essere visto da diverse franchigie come un premio di consolazione in caso di fallimento nella firma di nomi più importanti. Vedremo quanto i Suns saranno disposti a spendere per continuare a garantirsi le prestazioni di questo ragazzo con i rinnovi di Paul, Ayton e Bridges alle porte.
Jeff Green
Tra i giocatori di questa lista “Uncle Jeff” probabilmente era quello con le quotazioni più alte la scorsa estate, data la buona esperienza a Houston dove ha contribuito discretamente all’interno della small ball di D’antoni. È dunque probabile che abbia ricevuto offerte migliori del minimo salariale, ma Green ha scelto di competere per il titolo e Brooklyn sulla carta era la scelta migliore da fare.
Riabbracciare i vecchi compagni Kevin Durant (unico altro ex Sonics rimasto nella lega) e James Harden gli ha permesso di integrarsi da subito dal gioco di Nash, facilitato dalla connessione con le due stelle. Offensivamente il suo ruolo palla in mano è stato minimizzato, permettendogli di concentrarsi sul tiro dalla lunga distanza e sui movimenti lontano dalla palla, compiti più alla portata del veterano. Gli enormi spazi creati dai compagni hanno permesso a Jeff di prendere principalmente tiri con diversi metri di spazio, in particolare ai Playoff quasi la metà delle sue conclusioni sono arrivate su triple wide open, convertite con un eclatante 55.6%. Un numero spropositato influenzato senza dubbio dal piccolo campione, ma che conferma i progressi fatti nella stagione regolare: per la prima volta in carriera Green ha superato il 40% dall’arco ed ha registrato anche il career high sulla percentuale reale di tiro (62.4%)
Non fraintendete però, Green non è solo un solidissimo tiratore sugli scarichi, è uno dei principali portatori di blocchi della squadra, in grado di essere pericoloso sia come rollante che come poppante. Inoltre sa tagliare con tempi giusti in backdoor e, pur non avendo più l’esplosività di un tempo, può punire in penetrazione i mismatch contro i lenti centri avversari, come fatto più volte nella serie contro Milwaukee.
In attacco Jeff è dunque versatile, ma in difesa lo è ancora di più: nella stagione regolare ha speso circa la metà del suo tempo sul parquet a marcare guardie e centri avversari competentemente. Queste doti lo hanno reso una pedina fondamentale della difesa di Nash che, come il suo mentore ed assistente D’Antoni, ha spesso utilizzato quintetti molto piccoli, situazione nella quale ai giocatori era richiesto di cambiare sostanzialmente su ogni blocco avversario.
La corsa playoff di Green è stata breve e condizionata da un problema al piede, eppure si è reso protagonista di partite ottime, in particolare nella drammatica gara 5 delle semifinali di conference contro i Bucks, quando Jeff ha segnato 27 punti, miglior dato della carriera in postseason.
Allo stesso tempo in questa serie ha difeso egregiamente su Antetokounmpo: concedendogli sempre spazio per il tiro da fuori ha limitato le doti di penetratore del greco, dimostrando di poterlo contenere fisicamente nei pressi del ferro.
Tutte le qualità sopracitate rendono Green un role player di lusso, che in estate sarà desideratissimo da qualsiasi contender. Da quando ha lasciato Boston nel 2015 il veterano non ha mai passato più di una stagione con la stessa maglia, ma in questo caso potrebbe essere diverso. Uncle Jeff è nativo del Maryland, stato relativamente vicino a New York, e se la volontà sarà ancora quella di giocare per il titolo il prossimo anno non ci saranno squadre migliori dei Brooklyn Nets per provare a conquistare il tanto agognato anello.
Reggie Jackson
Reggie Jackson è la seconda guardia che incontriamo in questa lista ad essere stata scelta da OKC nel tentativo di trovare un buon vice Westbrook. Con Jackson, in effetti, la pick è stata centrata. Il nativo di Pordenone, dopo due stagioni di ambientamento, tra il 2013 e il 2014 svolge bene il suo ruolo, talmente bene da costringere Presti a scambiarlo prima della scadenza del suo contratto, in modo da evitare un oneroso rinnovo contrattuale che invece sono stati felici di offrirgli i Pistons.
Reggie nella sua prima stagione a Motor City conquista i playoff assieme a un core molto giovane che viene schiantato in quattro gare dai Cavs futuri campioni. Da quel nucleo la dirigenza si aspettava una crescita che non c’è stata e nei successivi 4 anni i Pistons si sono qualificati alla post season solamente una volta, raccogliendo nuovamente zero vittorie.
Nella stagione 2020 Jackson gioca solamente 14 partite a Detroit a causa di un infortunio alla schiena e poco dopo la trade deadline si accorda con la franchigia per un buyout, divenendo libero di firmare ovunque volesse. Da quanto dichiarato nella recente intervista rilasciata dopo la decisiva gara 6 delle finali di conference, la sua scelta è stata molto influenzata da Paul George, suo grande amico.
Arrivato nella città degli angeli Jackson ha avuto davvero poco tempo per ambientarsi, giocando solo 9 partite con la nuova casacca prima dell’ interruzione dovuta alla pandemia. L’avventura ad Orlando non è andata come sperato per i Clippers, così come per Jackson, uscito dalle rotazioni di Rivers una volta arrivati al momento clou.
Nell’arco di questa stagione la point guard ha avuto modo di integrarsi meglio con il resto della squadra: i problemi fisici di Beverley e lo scambio che ha condotto Lou Williams ad Atlanta hanno portato ad un maggiore impiego di Jackson, il quale è partito titolare per buona parte delle partite.
Totalmente ambientato e con ritrovata integrità fisica (nessuna partita saltata per infortunio in stagione) in questi playoff Reginald ha garantito a Lue un impatto nettamente superiore rispetto a quello avuto in Florida: pur non essendo un gran creatore di gioco per i compagni, i 17.8 punti segnati di media sono stati fondamentali per i Clippers in questa difficile post season, in modo particolare dopo l’infortunio subito da Kawhi Leonard. La maggior parte dei punti di Jackson sono arrivati su tiri in catch&shoot in cui è molto efficiente (1.32 punti per possesso) o in situazione di isolamento, dove grazie alla grande rapidità ed un tiro dal palleggio affidabile, risulta difficile da marcare per i difensori avversari, già molto impegnati nel tentativo di limitare George.
Tutte le doti offensive di questo giocatore sono state messe in mostra nella prestazione di gara 6 delle semifinali di conference contro Utah, match decisivo per chiudere la serie fra le mura amiche. Dopo un primo tempo in sordina Reggie, nella seconda metà di gara ha segnato 22 punti e distribuito 10 assist, dando un contributo fondamentale alla rimonta della squadra di Lue.
Da quanto detto nella sopracitata intervista pare impossibile vedere Jackson con una maglia diversa la prossima stagione. La franchigia losangelina non potrà offrirgli molto in estate, ma l’intenzione del giocatore sembra quella di riprovare a vincere con la squadra che lo ha accolto a braccia aperte nel momento di massima difficoltà per la sua carriera, anche a costo di rinunciare a qualche dollaro.
Nicolas Batum
“Last but not least” un altro componente dei Clippers, Nicolas Batum.
Il francese ha iniziato la sua esperienza NBA nei Trail Blazers del romantico duo Roy-Aldridge. Entrato in punta di piedi, negli anni ha via via aumentato la sua importanza per la squadra, arrivando ad essere il giocatore più utilizzato da Stotts nell’ultima corsa playoff giocata a Portland.
In seguito all’addio di LA nell’estate 2015 i Blazers decidono di ricostruire, scambiando Batum in scadenza contrattuale agli Charlotte Hornets. Con la franchigia del North Carolina l’ala disputa una prima stagione molto convincete che aiuta la squadra a qualificarsi ai playoff, cedendo solamente dopo 7 gare contro dei Miami Heat di grande esperienza.
Convinti di aver trovato un pezzo funzionale da affiancare a Kemba Walker, MJ e soci non si fanno problemi ad offrire un rinnovo colossale a Nicolas per evitare di vederlo scappare, arrivando a concedergli un contratto non in linea con il valore del giocatore.
Le enormi aspettative della dirigenza ovviamente non sono state rispettate e complici un contesto poco stimolante ed una serie di infortuni, Batum inizia a calare a velocità sorprendente, al punto che nella stagione 2020 Borrego ha deciso spesso di lasciare il francese incollato alla panchina, anche quando disponibile a giocare. Divenuto un peso per la franchigia nella scorsa offseason viene tagliato, in modo da creare lo spazio salariale necessario ad acquisire Gordon Hayward.
Nonostante il decadimento del giocatore i Clippers hanno voluto credere nel francese e non avrebbero potuto compiere scelta migliore.
Appena arrivato a Los Angeles è stato immediatamente chiaro che le sue sottovalutate doti di passatore sarebbero state molto utili per fluidificare il gioco offensivo dei Clippers: Batum non è il floor general di cui aveva bisogno la squadra, ma se necessario rimane in grado di mettere palla a terra e offrire creazione secondaria, inoltre gli extrapass del francese sono semplicemente eccezionali:
Il maggiore apporto del giocatore arriva però in difesa: rotazioni precise, un’apertura alare spropositata rispetto all’altezza e il QI cestistico al di sopra della media, lo rendono un difensore in aiuto di alto livello, capace di non far sentire esageratamente la mancanza di un centro tradizionale sotto le plance.
Questa sua abilità di per sé non è nulla di eccezionale, tuttavia ha aperto una serie di soluzioni importanti per lo staff tecnico, una su tutte la possibilità di giocare con quintetti piccoli.
Giocare spesso con cinque esterni ha permesso ai Clippers di aprire il campo oltremodo in questi playoff, costringendo giocatori quali Porziņģis e Gobert ad uscire dal pitturato, esponendo in modo chiaro la loro poca mobilità e limitandone allo stesso tempo l’efficacia come intimidatori al ferro.
Batum pur non producendo cifre grezze importanti è stato dunque un pezzo fondamentale per i losangelini in questa post season, come testimonia il +21.5 di on-off del francese su oltre 550 minuti giocati.
La sua permanenza futura a LA rimane però tutt’altro che scontata: nel caso in cui Leonard decidesse di rimanere, i Clippers avranno più di 140 milioni di contratti garantiti distribuiti fra 8 giocatori. Il rischio per la franchigia è di raggiungere l’hard cap (soglia insuperabile per il regolamento NBA) per cui il minimo salariale risulterebbe l’unica opzione possibile per offrire un rinnovo a Nicolas, il quale potrebbe ricevere offerte più remunerative altrove nonostante sia prossimo ai 33 anni. Ad oggi è impossibile prevedere quale sarà la scelta di Batum, ma è chiaro che qualunque squadra riuscirà a firmarlo acquisirà un giocatore tutt’altro che finito.
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