La filosofia dei San Antonio Spurs può essere descritta in tanti modi e con molteplici espressioni. Se dovessimo però sceglierne una che rappresenti al meglio gli ultimi anni della franchigia, la nostra scelta ricadrebbe sulla frase “stick to the plan”. Questo modo di dire tipicamente americano, traducibile letteralmente in “attieniti al piano”, è la rappresentazione semantica della condotta recente degli Spurs.
Dopo il tristemente noto caso Leonard, la franchigia texana è dovuta scendere a patti con il fatto di non essere più una delle migliori squadre della NBA. Nonostante questo, il piano di Popovich e soci non è cambiato e la direzione dichiarata è sempre stata quella della competitività e della concretezza.
Sebbene la prima stagione dopo l’addio di Kawhi, conclusasi con un settimo posto e un’eliminazione al primo turno contro i Nuggets, avesse fatto pensare che tutto sommato gli Spurs fossero ancora rilevanti nelle gerarchie della Western Conference, le successive due annate hanno invece ridimensionato le aspettative di tifosi e appassionati su una squadra che è ormai inevitabilmente giunta alla fine di un ciclo vincente.
La stagione 20-21 era cominciata come la precedente, con Popovich che dichiara durante il Media Day di voler puntare ai playoff e i giocatori che si dicono pronti a cominciare una nuova striscia di apparizioni nella postseason dopo quella interrottasi l’anno prima, cavalcando le ottime prestazioni messe in mostra nella “bolla” di Disney World. Esattamente come la precedente, però, la stagione degli Spurs si è conclusa senza rispettare gli obiettivi dichiarati e mettendo la franchigia nella posizione di dover fare delle scelte.
L’approccio adottato fin ad oggi è stato quello di un “soft rebuild”, ovvero pensare al futuro e allo sviluppo dei tanti giovani del roster senza però rinunciare ad essere una squadra competitiva grazie a veterani esperti e giocatori affermati sui quali poter contare.
Se da un lato questo modus operandi ha il lato positivo di sviluppare una cultura sana e costruttiva all’interno della franchigia, dall’altro porta con sé il rischio di ritrovarsi nella situazione più temuta da ogni franchigia NBA: il limbo tra l’essere troppo forti per poter sperare di aggiungere grandi talenti tramite il draft e il non esserlo abbastanza da avere velleità di successo ai playoff.
Parlando di Draft, dopo la scelta numero undici che nel 2020 ha portato Devin Vassell a vestire la maglia nero argento, gli Spurs si ritroveranno a scegliere, salvo improbabili scalate della lottery, con la dodicesima pick.
È noto che la classe 2021 sia piuttosto ricca di giocatori intriganti e con molto talento, ma una scelta di fine lottery rischia comunque di lasciare insoddisfatta una squadra che ha disperato bisogno di una vera stella in grado di guidarla verso lidi più ameni.
Aggrapparsi alla cultura vincente quando non si hanno i mezzi per portarla avanti, evitando di avviare un processo di ricostruzione complesso ma necessario, rischia di far perdere anni preziosi a giocatori, staff e front office per inseguire la speranza di strappare un ottavo posto che difficilmente risulterà in qualcosa di più di una dignitosa uscita al primo turno dei playoff. Per questo motivo l’estate che si appresta a cominciare sarà fondamentale per capire la direzione che gli Spurs vogliono intraprendere da qui in avanti.
Cosa salvare della stagione
Nonostante tutto, però, considerare la stagione passata come un completo fallimento sarebbe sbagliato e vorrebbe dire non riconoscere i passi avanti fatti da molti giocatori durante questa peculiare e difficile annata NBA.
I giovani
Nella situazione in cui si trovano gli Spurs è fondamentale avere spalle giovani sulle quali riporre il futuro della franchigia, per questo motivo negli anni passati si è formato all’ombra dell’Alamo uno degli young-core tra i più interessanti della lega che quest’anno si è messo in mostra tra G-League e NBA.
Sorprese e conferme
Una delle sorprese più gradite della stagione è stata senza dubbio l’inserimento di Keldon Johnson nel quintetto titolare fin dalla prima partita. Il prodotto di Kentucky, scelto alla 29 nel draft 2020, aveva passato gran parte del suo anno da rookie tra le fila degli Austin Spurs, diventando fin da subito uno dei migliori realizzatori al ferro della lega di sviluppo per poi esplodere in prima squadra durante la parentesi nella bolla di Orlando.
Guardando Keldon in campo è chiaro da subito come sia uno dei giocatori più energici, nel bene e nel male, dell’intera lega. La metà dei suoi tiri arrivano nei pressi del ferro, dove ha dimostrato di non temere niente e nessuno, assorbendo benissimo i contatti e travolgendo anche i migliori rim protector contro cui si è dovuto scontrare. Gli altri aspetti del gioco del #3 sono ancora piuttosto grezzi, sopratutto tiro e passaggio, ma ha mostrato svariati sprazzi intriganti che, uniti all’entusiasmo e ad una grande etica del lavoro, fanno ben sperare per il suo sviluppo come ala fisica e tuttofare.
Un altro dei giocatori che più ha brillato durante la stagione è stato Jakob Pöltl. Il centro austriaco, che dopo l’addio di Aldridge è diventato il lungo di riferimento a disposizione di Gregg Popovich, è stato l’ancora difensiva degli Spurs e si è affermato come uno dei migliori difensori d’area della NBA. San Antonio non è stata certo tra le migliori squadre a negare le conclusioni avversarie, anzi, ma l’impatto di Jakob è sempre stato positivo sul suo lato del campo.
Jakob Pöltl’s interior defense talent grade breakdown. Elite across the board. pic.twitter.com/HhFxZLU4gq
— Joey Wilkinson 🏁 (@AssassinateHate) March 24, 2021
Offensivamente il suo ruolo è stato limitato a quello di bloccante e rollante, dove comunque si è fatto valere, e la sua percentuale ai liberi (un orribile 50% in stagione) lo ha reso protagonista di qualche episodio di hack-a-Jak. Nonostante ciò, appare chiaro come l’austriaco sia uno dei tasselli fondamentali del futuro degli Spurs, che infatti l’hanno firmato con un vantaggiosissimo contratto fino al 2023, sul quale la franchigia texana fa affidamento per riempire lo spot di centro titolare.
Parlando di giovani Spurs che hanno impressionato, è impossibile non menzionare Dejounte Murray. Il ventiquattrenne nativo di Seattle ha sempre mostrato uno spiccato carisma, fin dal suo arrivo in NBA, ma questa stagione ha sancito definitivamente la sua incoronazione a leader emotivo della squadra. Tutti i membri degli Spurs, uno su tutti DeMar DeRozan, parlano di Dejounte come di una figura estremamente vocale all’interno dello spogliatoio, capace di tirare fuori il meglio dai compagni spronandoli sia in campo che fuori.
Anche dal punto di vista strettamente cestistico Murray ha compiuto importanti passi avanti, registrando massimi in carriera nelle principali voci statistiche e diventando un passatore estremamente solido, pur avendo ancora margini di miglioramento. L’efficienza è rimasta poco al di sotto della media NBA ma in compenso ha aumentato il volume dei tiri dalla distanza, aspetto in cui gli Spurs sono tra i peggiori della lega, ed è diventato letale dal mid-range. In sostanza, Dejounte Murray difficilmente sarà la principale stella degli Spurs, ma l’importanza del ruolo che riveste su entrambi i lati del campo e all’interno dello spogliatoio lo rende uno dei pilastri sui quali poggia il futuro di San Antonio.
Dubbi e delusioni
Purtroppo, non tutti i giovani Spurs hanno rispettato le aspettative che i tifosi riponevano in loro, e la delusione principale è arrivata da Lonnie Walker IV. Il prodotto dell’università di Miami non è mai riuscito a trovare continuità durante la stagione, alternando buone prestazioni ad altre impalpabili. Da Lonnie ci si aspettava una maggiore aggressività, migliore capacità di leggere il ritmo della gara e una selezione di tiro più intelligente; tutto ciò si è visto a tratti ad inizio stagione, ma poi il giovane nativo della Pennsylvania è tornato alle cattive abitudini, complice forse anche un po’ di frustrazione derivata dalle sue prestazioni.
Il ruolo che gli Spurs vorrebbero che Walker IV ricoprisse è quello di scorer a tutto tondo ma quanto fatto vedere fino ad oggi lascia dei dubbi sull’effettivo valore del giocatore, tanto entusiasta e volenteroso quanto discontinuo e a tratti frustrante. Per ora Lonnie ha un altro anno di contratto ed è probabile che gli Spurs vorranno vederlo un’altra stagione prima di decidere sul da farsi, è però piuttosto chiaro come al momento il ragazzo sia uno dei tasselli più sacrificabili del giovane nucleo neroargento.
Avremmo preferito non parlare del prossimo giocatore, almeno non in questa sezione dell’articolo, ma purtroppo il destino cinico e baro ci ha messo nelle condizioni di dover annoverare Derrick White tra i flop della stagione. La guardia ex Colorado, fresca di estensione quadriennale da 72 milioni, era forse il giocatore sul quale ricadevano le maggiori speranze per un’annata competitiva. Purtroppo, il sopracitato destino ha fatto sì che Derrick venisse martoriato dagli infortuni, prima al piede e poi alla caviglia, e giocasse solamente 36 partite.
Nonostante tutto, quando era in campo Derrick ha dimostrato di valere ogni centesimo dell’estensione firmata in estate, se non addirittura qualcosa in più. Difensivamente è stato il solito incubo per gli esterni avversari, rubando palloni e prendendo sfondamenti, mentre offensivamente ha considerevolmente aumentato i tentativi da tre punti come richiestogli dal coaching staff. Sfortunatamente le percentuali non gli hanno dato ragione (41% al campo e 34 da 3) ma gli va dato atto di essersi dimostrato un giocatore maturo che ha accettato le responsabilità dategli dalla squadra, cosa non scontata per un ragazzo mite come lui.
La presenza di Derrick White in questo segmento è, quindi, quasi esclusivamente da attribuire alla sua storia clinica; se dimostrerà di poter rimanere sano ci sono pochi dubbi che possa affermarsi come uno dei migliori two—way players della lega, andando a formare con Dejounte Murray una coppia di guardie letale su entrambi i lati del campo.
Il futuro è ora
Il draft
In questo momento storico della franchigia, senza una vera stella su cui costruire e con dei giovani che danno poche garanzie oltre all’essere dei buoni role player o dei solidi titolari, gli Spurs devono scegliere al draft cercando principalmente una cosa: il talento. Scegliere un giocatore solido, che dà garanzie ma dal potenziale limitato ha poco senso per una squadra lontana dall’essere veramente competitiva. Gli Spurs devono cercare il giocatore con maggiori doti naturali, che magari porta con se qualche rischio in più, ma che potrebbe anche diventare qualcosa di importante per la franchigia.
Di base il ruolo poco importa. C’è però una certa abbondanza di guardie a roster e l’avere a contratto per lungo tempo due giocatori dall’apporto sicuro come Dejounte Murray e Derrick White porterebbe a dare priorità ad altri tipi di giocatori. Guardando il roster e le proiezioni delle varie board e mock, gli Spurs probabilmente andranno sull’ala o sul lungo più promettente che scenderà fino alla 12. Ad oggi è difficile dire i candidati più probabili: si va da lunghi europei come Sengun e Garuba, ad ali in uscita dal college come Moses Moody, Franz Wagner, Ziaire Williams, alla “sensation” australiana Josh Giddey.
La free agency
Quella del 2021 sarà probabilmente la free agency più importante della franchigia dal 2015 in poi. Questo sostanzialmente per due ragioni: per prima cosa, la “stella” della squadra, DeMar DeRozan, declinerà la sua player option e diventerà free agent. In secondo luogo, gli Spurs avranno finalmente una buona fetta di cap a disposizione per eventuali firme di rilievo. In sostanza, le scelte che verranno fatte nei prossimi mesi indicheranno la direzione che verrà presa quantomeno nei prossimi 3-4 anni.
Andando con ordine, DeRozan diventerà quindi unrestricted free agent. A quanto pare, la dirigenza gli ha offerto il rinnovo in passato e lui sembra aver trovato il suo ambiente a San Antonio ma, dopo un’altra stagione con risultati modesti, viene lecito chiedersi se abbia ancora senso puntare su di lui. D’altro canto, lasciare andare a cuor leggero il miglior giocatore in squadra essendo uno small market è veramente difficile. Ad oggi, è veramente complesso capire quale dei due scenari sia più probabile.
Passando al cap space, gli Spurs avranno fino a un massimo di circa 48 milioni a disposizione. Con così tanto spazio libero, la dirigenza avrà un ampio ventaglio di possibilità a disposizione.
Non è possibile prevedere eventuali scambi, ma si possono individuare papabili obiettivi in free agency. Tenendo a mente il criterio di priorità ad ali e lunghi ci sono vari nomi che potrebbero avere senso: John Collins e Lauri Markkannen sono certamente quelli più quotati, due giocatori che potrebbero lasciare le loro squadre da restricted free agent e che porterebbero spacing e talento nel reparto lunghi dei neroargento. Otto Porter Jr è un altro nome intrigante che potrebbe inserirsi bene nel roster attuale e rappresenterebbe un buon giocatore da tentare di rilanciare e rivalutare.
Passando ad analizzare gli altri giocatori in scadenza oltre a DeRozan, Rudy Gay potrebbe rimanere come presenza veterana ma probabilmente solo a prezzi molto moderati. Il caso di Mills è, invece, un po’ diverso. L’aborigeno ha disputato un’ottima stagione e avrà certamente un certo mercato, risulta però molto difficile immaginare un suo futuro lontano da San Antonio. La dirigenza probabilmente tenterà di trattenerlo in quanto punto di connessione con l’era dei big three e simbolo della Spurs Culture, del successo guadagnato sudando, del giocatore che va oltre al solo basket giocato.
In conclusione, quella che si avvicina è una offseason cruciale per il futuro di San Antonio, che potrebbe vedersi costretta ad abbandonare la sua classica filosofia conservativa prendendosi rischi come ha fatto poche altre volte nella loro storia. Vedremo come gli Spurs gestiranno la situazione, quel che è certo è che per loro è il momento di fare delle scelte.
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