Ogni anno, a fine stagione, l’NBA si prende un momento per celebrare i migliori giocatori nelle diverse categorie: MVP, difensore dell’anno, miglior rookie… sapete già.
È un po’ come la notte degli Oscar, in particolar modo da quando la Lega ha deciso di consegnare i riconoscimenti in un’unica cerimonia, con presentatori d’eccezione, performances e ospiti di lusso.
Come gli stessi Oscar, però, i premi NBA risentono di determinati criteri non propriamente scritti ma non per questo meno importanti. Il più importante di questi è il record di squadra.
È normale, da un lato è un criterio abbastanza meritocratico per scremare l’enorme quantità di talento nella Lega, dall’altro le squadre più forti hanno i riflettori costantemente puntati addosso e questo amplifica la nostra percezione dei giocatori.
Una prova? Nelle ultime 10 stagioni, solo 4 giocatori hanno ricevuto un premio individuale, ROY escluso, pur giocando in una squadra non qualificata ai playoff, e tre di questi hanno portato a casa un MIP (Kevin Love nel 2011, Goran Dragić nel 2014 e Brandon Ingram nel 2020), un premio che, accanto non a caso al Rookie Of the Year, è un po’ come, per restare ai paragoni cinematografici, l’Oscar al miglior film straniero o quello al miglior film d’animazione: categorie di assoluto pregio e considerazione, ma che giocano una sorta di campionato a parte con regole proprie.
(Se morite dalla voglia di sapere chi è il quarto premio della lista vi accontento subito: è Lou Williams, con il primo dei due Sixth Man Of the Year consecutivi, nel 2018).
Come abbiamo detto, premiare i più vincenti è un ragionamento comprensibile da parte della Lega, ma non deve portarci all’errata conclusione che nelle squadre di bassa classifica non possano esserci stagioni individuali altrettanto degne di riconoscimento.
E io sono qua per questo.
Dopo aver votato, come tutta la redazione, per i premi e i quintetti tradizionali (questi ultimi anche commentati insieme ad altri nell’articolo uscito pochi giorni fa), ho deciso di seguire la mia vera vocazione e premiare i migliori giocatori nelle squadre con il record peggiore.
I criteri di selezione sono stati dunque gli stessi dei premi canonici, con la sola eccezione del posizionamento in classifica: nessuno dei nominati ha giocato in squadre che hanno chiuso la stagione dal decimo posto in su.
Per alcuni premi ho applicato regole specifiche che vedremo a breve, ma preparatevi ad abbandonare i red carpet, i riflettori e i selfies con Drake e DJ Khaled e seguitemi.
MVP AWARD: Zach LaVine, Chicago Bulls (11esimi ad est)
Raw stats: 27/5/5 (51%/42%/85%)
Altri papabili: De’Aaron Fox, Zion Williamson
Indiscutibile. Cioè, forse no, Zion e Fox avrebbero validi argomenti, ma è anche vero che sono l’unico autore dell’articolo e, di conseguenza, l’unico a votare per i premi, quindi suppongo sia qualcosa di effettivamente indiscutibile (a meno che io non sia il personaggio di James McAvoy in Split, in quel caso avremmo quasi una redazione intera a votare, ma fortunatamente non è così, per quanto questa parentesi potrebbe dare adito a sospetti… chiudiamola qua).
Indiscutibile, dicevamo. C’è stato un momento in cui sembrava che LaVine non avrebbe potuto ambire a questo prestigiosissimo premio, perché i Bulls sembravano finalmente pronti a fare il salto tra le grandi, complici un rookie rivelatosi importantissimo come Patrick Williams, una trade che sapeva di grandi intenti, e, appunto, una stagione clamorosa di Zach LaVine.
Gli infortuni, il covid e la scarsa intesa del nuovo gruppo hanno messo però in mostra i difetti strutturali della squadra, scivolata all’undicesimo posto. Decisamente triste per i tifosi Bulls, molto meno per me che posso parlarne in questo articolo.
Al suo settimo anno nella Lega, qualcosa nella mente del miglior schiacciatore della Lega (non voglio sentire alcuna opinione diversa a riguardo) sembra aver fatto clic.
Zach ha chiuso la stagione timbrando i suoi massimi in carriera per punti segnati, rimbalzi, assist e percentuali da 2, da 3 e dalla lunetta. È migliorato in difesa abbastanza da non poter più essere considerato uno dei peggiori difensori della Lega (qui un video di 25 minuti nel quale l’autore è molto motivato a convincervi della cosa con dati e clip video, se non siete così hardcore potete fidarmi delle mie parole) ed è anche diventato un miglior leader, sia per quanto riguarda i compiti di creazione sia per quanto riguarda il rapporto con i compagni di squadra.
Ma è la sua efficienza offensiva a far girare la testa (purtroppo, rispetto al tweet, ha perso uno 0.1% ai tiri liberi, ma penso glielo si possa perdonare).
Looking at Zach’s scoring numbers & it’s just crazy the elite/special scoring season he’s having so far.
— Bulls Gold (@BullsGold) February 9, 2021
Did a search for all-time where guys who averaged at least 25 ppg on 50% FG, 40% 3pt, 85% FT, and 60% TS.
1 of 6 guys to ever to do it if he keeps it up. #BullsNation pic.twitter.com/eSGM0N2wMp
Insomma, LaVine ha fatto una stagione incredibile, ha ricevuto la sua prima cconvocazione all’All-Star Game, è migliorato sotto ogni aspetto. E, ovviamente, ha anche fatto questo:
MVP! MVP! MVP!
DEFENSIVE PLAYER OF THE YEAR: Luguentz Dort (Oklahoma City Thunder,14esimi ad Ovest)
Stats: who cares?
Altri papabili: Ja’sean Tate, Patrick Williams, Jaden McDaniels, Isaac Okoro, Chuma Okeke, più o meno chiunque preferiate nel quintetto dei Toronto Raptors, facciamo O.G. Anunoby per comodità
Eh sì, il Ministro della Difesa. E chi sennò?
Misurare una buona difesa è sempre un lavoro abbastanza difficile.
La situazione peggiora se vogliamo valutare l’impatto di un singolo giocatore in una squadra tra le ultime in classifica. In questo caso, anche molte statistiche utili diventano pericolose, perché condizionate dai ritmi e dalle rotazioni caotici che vediamo di frequente in queste franchigie.
Per questo motivo, ho deciso di basarmi solo ed esclusivamente sulla capacità di fare giocate difensive individuali. In altre situazioni sarebbe una scelta dubbia, correremmo il rischio di fare cherrypicking, ma in questo caso ci permette di valutare il talento difensivo.
Se cliccate sui nomi dei papabili, potrete vedere proprio delle loro giocate difensive, ma da questo punto di vista Dort ha pochissimi rivali.
I suoi highlights di questo tipo hanno generato un fandom che va ben oltre i confini della tifoseria Thunder (per la quale, specie dopo questa stagione da sparatore folle, è ormai assunto a divinità pagana).
Il suo stile difensivo spericolato, il suo motore ad alta intensità e, ovviamente, il suo talento puro, rendono ogni suo duello a metà campo uno spettacolo che vale la pena seguire con trepidazione.
Un piccolo assaggio del Lu Dort Show:
Ma sai che qua ci starebbe bene una bella digressione filosofica
Se avete letto i nomi degli altri candidati, avrete notato un particolare interessante: tolto Anunoby, sono tutti rookies.
Mi è sembrato uno spunto carino per una riflessione che potrebbe alzare il tiro di quest’articolo o farlo sprofondare nell’abisso più buio.
Innanzitutto, non è da scartare l’ipotesi più semplice: una coincidenza. Poco affascinante come soluzione, lo ammetto, ma va considerata. Semplicemente questo draft era ricco di ottimi difensori e, com’è logico, si sono distribuiti tendenzialmente verso le squadre scarse, che generalmente hanno le scelte migliori.
Per il bene della vostra perdita di tempo, proviamo ad andare però più a fondo. Ho elaborato due ipotesi che potrebbero spiegare a livello strutturale il fenomeno.
Va detto che, per considerarlo effettivamente tale, dovremmo avere la certezza che si sia ripetuto nel tempo, certezza che non abbiamo perché sarebbe stato un lavoraccio.
Il mio prof. di Metodologia della ricerca sociale boccerebbe quindi queste ipotesi in partenza. Voi non fatelo, per favore.
La prima, che definiremo marxista in omaggio ai miei esami di sociologia (e perché ruota intorno ad un concetto di collettività e, per certi versi, classi sociali disagiate) è che il miglior posto per far risaltare le doti difensive individuali sia una pessima difesa collettiva, in un contesto che premia le giocate positive ma non punisce quelle negative.
In sostanza, non solo un buon difensore 1v1 risalta se il resto della squadra non difende, ma il giocatore è anche immerso in un contesto dove l’errore del rookie è ovviamente perdonato oppure come causato dal contesto degradato di una squadra con un pessimo record.
L’altra teoria, che non può non essere neoclassica (e ha di fatto a che fare con scelte di mercato e capitali investiti), è che le squadre molto in difficoltà scelgano i giocatori al draft principalmente puntando sull’upside, preferendo prospetti con queste caratteristiche: eccellenti doti atletiche, lampi di buone letture e istinti per il gioco (che possono tradursi in grandi difese) e carenze più o meno gravi in attacco e/o nel gioco corale (da sviluppare una volta selezionati).
In conclusione, qualunque sia la ragione, sembra che il futuro difensivo della Lega sia in buone mani, pronte a rubare la palla in ogni occasione e a contestare ogni jump shot possibile.
SESTO UOMO DELL’ANNO: Chris Boucher (Toronto Raptors, dodicesimi ad est)
Raw stats:14/7/1 (e due stoppate di media), 51%/38%/79%. 60 partite giocate, 14 starting five, 24 minuti a partita
Altri papabili: Thaddeus Young, Josh Jackson (mamma mia…)
Pensate essere talmente sesto uomo da vedere Aaron Baynes e Alex Len partire in quintetto davanti a te.
Battute a parte, il premio di sesto uomo è, tra i premi individuali, quello che risente più del record di squadra dopo l’MVP.
Il concetto che ci sta dietro è infatti che ci siano giocatori capaci di incidere in maniera decisiva entrando dalla panchina, cosa che richiede lineup e rotazioni definite e una second-unit sfruttata al meglio per vincere la partita, due elementi piuttosto difficili da trovare a fondo classifica.
Fortunatamente, i Raptors hanno avuto una pessima stagione nonostante rimangano una delle squadre più organizzate e meglio strutturate della lega, fornendoci un esempio perfetto di sesto uomo in una squadra da 27 vittorie.
C’è stato un momento in cui Toronto sembrava ancora forte, nella prima parte della stagione, e in cui Boucher è stato una pedina fondamentale.
Quest’anno il suo minutaggio è passato da 13 a 24 minuti, spesso senza attenzioni difensive, permettendogli grandi prestazioni dal punto di vista realizzativo (10 partite da 20+ punti sulle 46 disputate da sesto), mantenendo i flash difensivi da rim protector che già conosciamo.
C’è ancora da lavorare (più o meno su tutto ciò che non riguardi il tirare da tre e lo stoppare tiri), ma le speranze dei Raptors di tornare competitivi passano anche da lui.
Ha anche stoppato un sacco di triple, come sempre.
Non credo esista miglior giocatore al mondo in termini di closeout di Chris Boucher. Le sue leve infinite gli fanno coprire una quantità di campo irreale.
— Sasso 🗿 (@sassoulatin) January 12, 2021
Per intendersi, dal sito ufficiale di https://t.co/QcZgrZ87Ax questa tripla viene categorizzata come ‘open’ pic.twitter.com/jgiNLAEjo0
ROOKIE OF THE YEAR: Immanuel Quickley (New York Knicks, quarti ad est. Sì lo so, ora vi spiego)
Stats: 11/2/2 40%/39%/89%
Altri papabili: Tyrese Maxey, Facundo Campazzo
Dunque, abbiamo detto che il premio di Rookie dell’anno segue delle regole diverse dagli altri, ovvero ignora completamente il record di squadra.
Ciò è abbastanza ovvio: in un sistema che riconosce alle squadre peggiori il privilegio di scegliere i rookies più forti, è prevedibile che il miglior esordiente giocherà in una di queste. Dall’altro lato è poi difficile per un giocatore al primo anno inserirsi fin da subito, e avere un impatto considerevole, in una squadra di alto livello.
Visto che abbiamo ribaltato la logica tradizionale per gli altri riconoscimenti, lo faremo anche per il ROY e andremo a premiare il miglior rookie nelle prime 8 squadre in classifica.
Tra i candidati, nessuno ha avuto l’impatto che Quickley ha avuto sui Knicks.
L’importanza del rookie da Kentucky è stata vitale in particolar modo prima dell’arrivo di Derrick Rose, quando è stato sostanzialmente il miglior creatore perimetrale della squadra newyorkese.
Thibodeau gli ha cucito addosso il ruolo dello “spaccapartite” dalla panchina e lui l’ha fatto suo fin da subito.
Effettivamente, Quickley è un giocatore perfetto da questo punto di vista perché possiede un talento fondamentale.
La capacità di cambiare l’energia delle partite con le sue giocate è evidente in ogni momento: tutta la squadra sembra caricarsi sempre di più ad ogni canestro, ad ogni floater assurdo messo a segno.
Oltre ai floaters, ormai vera e propria signature move, Quickley è uno scorer estremamente efficiente e un giocatore dal grande QI, che raramente prende decisioni sbagliate.
In difesa l’impatto è decisamente più neutro (ma comunque abbastanza positivo da non attirare su di sé le ire e le sostituzioni lampo di Thibodeau), ma il lavoro che fa in attacco lo ha già reso non solo uno dei migliori rookies della stagione (e una steal clamorosa), ma anche uno dei migliori elementi di una squadra che si presenta col fattore campo ai playoff.
E il vincitore di questo premio, ovviamente.
MOST IMPROVED PLAYER: Miles Bridges (Charlotte Hornets, decimi ad est. Ma siamo seri?)
Stats: ci arriviamo a breve
Altri papabili: Christian Wood, Jerami Grant… mamma mia che noia
Vi spiego il ragionamento dietro il premio.
Se avessi dovuto seguire solo la regola dell’esclusione dai playoff, avrei chiaramente dovuto scegliere tra Grant e Wood. Il punto è che questi due giocatori riceveranno attenzioni e voti anche per il MIP ufficiale e non mi andava di parlarne anche qua. Allora mi hanno detto “fai come hai fatto per il ROY, scegline uno dalle squadre forti”, solo che sarei dovuto necessariamente passare per Randle, che il premio lo vincerà per davvero, o Porter Jr., un finalista.
Al che mi sono detto: perché non premiare un giocatore medio, di una squadra media e che ha avuto un miglioramento medio? Un’ode alla normalità (ammesso che si possa definire normale un essere umano che fa quella cosa su Capela), un’ode a Miles Bridges.
Essendo un miglioramento normale, il confronto con le statistiche registrate la stagione scorsa non colpisce affatto: i punti sono addirittura scesi, i rimbalzi sono passati da 5.6 a 6 e gli assist da 1.8 a 2.2.
Se andiamo a vedere le percentuali, avvertiamo già un leggero friccicorio: è passato dal 42 al 50% dal campo, dal 33 al 40% da tre e dall’80 all’86% ai liberi.
Il confronto tra queste percentuali ci permette di introdurre il periodo anormale nella stagione del nostro normale MIP della sobrietà (is this a Monti reference?).
Nelle ultime 19 partite stagionali Bridges è partito da titolare, registrando cifre notevoli: 20 punti di media con il 44% da tre su 7 tentativi a partita, 7 rimbalzi, 3 assist, una quasi stoppata (0.9) e una quasi rubata (0.8) di media.
Oltre a ciò che si può dedurre dalle statistiche base, c’è stato anche un miglioramento difensivo importante: a dispetto dell’etichetta di difensore “disattento”, è stato uno dei più attivi dei suoi nella propria metà campo, contribuendo in maniera decisiva all’approdo nel play-in nonostante l’infortunio di Hayward.
Non c’è un motivo valido per mettere questo video, ma avete davvero bisogno di un motivo per vedere una raccolta di schiacciate?
Con le schiacciate di Bridges abbiamo finito i premi “al rovescio” di questa stagione.
Personalmente, amo l’NBA perché ogni squadra ha a roster dei giocatori forti in qualcosa o quantomeno interessanti. La nostra attenzione è ovviamente catturata maggiormente dagli Embiid, dai Curry e dai LeBron, ma ogni anno tutto il resto della Lega gioca al massimo livello, migliora, fa giocate e prestazioni strepitose che meritano il giusto riconoscimento.
Un premio senza alcun valore assegnato da Magnago, provincia di Milano, magari non sarà il massimo, ma è quanto di meglio potessi fare per rendere onore a questi troppo spesso ignorati protagonisti.
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